Cronaca locale

Napoli, il mare negato di San Giovanni a Teduccio

ll litorale di Napoli est attende da un ventennio riqualificazione e bonifica. Il mare continua ad essere inquinato da scarichi di liquami

Napoli, il mare negato di San Giovanni a Teduccio

Porto turistico e mare pulito sono rimasti un sogno nel quartiere di San Giovanni a Teduccio. Il litorale di Napoli est attende da 20 anni la riqualificazione. Oggi risulta ancora abbandonato e bagnato da un mare che puzza di fogna. Nessuna bonifica è mai stata effettuata e acque nere continuano a rendere il mare torbido e maleodorante. Lungo quel tratto di costa, liquami vengono immessi in mare anche da alvei da cui dovrebbe sfociare solo acqua piovana. Reflui fognari dovrebbero sgorgare solo dal canale di Sannicandro, un grosso tubo nero che sporgendo dalla sabbia sparisce in mare per scaricare al largo della baia di Pietrarsa. A riva i bambini ci giocano in costume su quel condotto, bagnandosi la pelle con quell’acqua salata che l’Arpac continua a definire non balneabile. Per accertare lo stato di salute del mare, l’agenzia regionale per l’ambiente ne valuta la contaminazione fecale. I parametri batteriologici che vengono presi in considerazione per valutare la qualità dell’acqua sono l’escherichia coli e gli enterococchi intestinali. E a San Giovanni a Teduccio l’Arpac identifica come causa dell’inquinamento proprio il “cunicolo sottoservizi vico 2° Marina”. “È pure rotto e non lo riparano”, racconta Antonio Carcarino, presidente del Comitato storico 2003. Lui, pensionato, ci è cresciuto nel mare di San Giovanni a Teduccio e, da buon pescatore subacqueo, lo conosce in tutta la sua profondità.

Il mare vietato

Un cartello che comunica il divieto di balneazione svetta all’ingresso di ogni arenile a cui si può accedere dal quartiere di Napoli est. Ma negli specchi d’acqua antistanti i bagnanti ci sono. E diversi sono i pescatori che sugli scogli tengono stretta una lenza in attesa che un pesce abbocchi. “Sono sempre venuto a pescare qui”, dice un uomo intento a cercare granchi felloni tra gli scogli su cui si infrangono le onde in località Vigliena, tra la centrale termoelettrica e l’alveo di Volla. Pesca nel punto in cui uno scarico a cielo aperto sversa direttamente a mare acque torbide. “Ho sempre pescato qui, è più forte di me. Il pesce lo mangio io”, afferma. “Mi fa male la testa”, sbotta poi in dialetto napoletano quando gli chiediamo se sa del mare inquinato. Un modo per dire che non vuole essere scocciato e che lui vuole continuare a fare quell’attività. E non è l’unico. Dove andrà a finire il loro pescato non si sa. “Noi lo regaliamo”, affermano due ragazzi. Davanti alla centrale termoelettrica gestita dalla Tirreno Power, ci sono diverse barchette ormeggiate, nonostante il “pericolo di morte” scritto a caratteri cubitali. “Qui vengono anche a farsi il bagno e per le correnti sono morte diverse persone, l’ultima 2-3 anni fa”, raccontano. Sullo sfondo fa mostra di sé ciò che resta della ex Corradini, stabilimento metallurgico dismesso, acquisito a patrimonio comunale nel 1999. Doveva essere riqualificato e i suoli dovevano essere bonificati, ma lo stato in cui versava all’epoca non è cambiato. Secondo i progetti mai realizzati, quella carcassa di archeologia industriale dovrebbe diventare polo culturale. Nei piani, poi, davanti a sé dovrebbe aprirsi un approdo per centinaia di barche da cui dovrebbe partire quel lungomare che dovrebbe arrivare fino alla spiaggetta di “vico II marina”, rimasto finora solo sulla carta. Invece, quel complesso su cui nel 1990 un decreto ministeriale appose il vincolo di bene culturale, rischia di sparire nell’ambito dei lavori in corso nel porto di Napoli per l’ampliamento della Darsena di Levante. Benché il popolo di San Giovanni aspiri alla valorizzazione del territorio sfruttando la sua vocazione turistica, e dopo anni di propaganda politica incentrata sulla necessità di restituire il mare alla sua gente, sembra che quello spazio dove doveva nascere un porto turistico stia per essere risucchiato dal porto commerciale.

Le spiagge

A San Giovanni la spiagge le riconoscono con il nome che le hanno attribuito i residenti: con “alla Sme” identificano quella piccola a ridosso della centrale termoelettrica che svetta in località Vigliena e che prende il nome dalla società che gestiva la vecchia centrale, “al municipio” quella alle spalle del vecchio municipio di San Giovanni, poi ci sono le spiagge “ai due palazzi” o “vico I Marina” e “vico II marina”. Queste ultime recuperate con lavori realizzati circa 10 anni fa. Sono unite da una passeggiata panoramica: da un lato si vedono le officine del museo nazionale ferroviario di Pietrarsa, dall’altro il centro di Napoli, e davanti l’immensità del mare. “Ma qui non c’è manutenzione”, raccontano sul posto. “Le inferriate sono arrugginite, non c’è illuminazione, i rifiuti non li raccolgono tutti i giorni”, afferma una donna.

Dal mare anche rifiuti speciali

Incastrati sugli scogli e incagliati nella sabbia restano anche rifiuti speciali. Su quella che nel quartiere chiamano “la spiaggia del municipio” la situazione più drammatica, con una puzza di fogna persistente e immondizia che tappezza la sabbia. “Capita anche che a riva arrivino ondate di topi morti”, racconta Antonio Carcarino. I roditori arrivano dal vicino alveo di Volla, che lì sfocia in mare. L’arenile è coperto di rifiuti trasportati dal mare, ma anche abbandonati da qualche incivile. Ci sono bastoncini di cotton fioc e mozziconi di sigarette ovunque. “Anche le feci”, sostiene Antonio Carcarino, mostrando delle pellicine che coprono quei rifiuti. I comitati ambientalisti temono, inoltre, che una vicina scogliera artificiale possa causarne l’erosione. “Con questa scogliera la sabbia trasportata dal mare abbasserebbe poi i fondali davanti alla Corradini, a beneficio solo del porto”, spiega Antonio Vitolo, presidente del Comitato San Giovanni a difesa dell’ambiente e della natura. L’abbandono in cui versa la spiaggia “del municipio” la rende luogo ideale allo svolgimento di attività sospette e meta di tossicodipendenti. Per questo i comitati chiedono l’installazione di telecamere di videosorveglianza. Su quella spiaggia è rimasto il segno dell’inquinamento creato dalle fabbriche un tempo attive nel quartiere, tra le abitazioni dove ora scapezzano senza vita. “Quando eravamo piccoli qui ci facevamo il mare nell’acqua bianca”, racconta Antonio Vitolo. Con i suoi coetanei ricorda di quando facevano il bagno in quell’acqua resa bianca dagli scarichi abusivi di una fabbrica di mattonelle, degli scarichi che sulla spiaggia hanno lasciato un gradone di cemento. Erano gli anni Sessanta. All’epoca sulle spiagge di San Giovanni si arrivava con le bottiglie di olio, per pulirsi dalla nafta con cui ci si sporcava passando il tempo al mare. C’è chi racconta del mare reso rosso dagli sversamenti dalle concerie, dell’attività di contrabbando di sigarette che infuocava “alla Sme”, in quel mare dove si facevano esplodere ordigni pieni di tritolo per pescare e dove oggi scorrono le acque di raffreddamento delle turbine e capita di vedere a galla della schiuma diradata. Oggi le concerie non ci sono più, le raffinerie sono dismesse, il mare non si colora più. Ma la sua qualità continua ad essere scarsa.

Gli alvei che inquinano il mare

Risale al 29 giugno scorso un video pubblicato su Facebook dal gruppo K Marin che documenta la presenza di schiuma alla foce dell’alveo di Volla, un canale che partendo dal comune di Volla dovrebbe convogliare acqua piovana proveniente da diversi comuni del Vesuviano ma che a mare sversa continuamente liquami. Acqua torbida è visibile anche in un canale che si apre dove prima c’era il depuratore, oggi stazione di sollevamento che porta le acque fognarie verso il depuratore di Napoli est. Il sospetto di qualche residente è che qualche volta continui a scaricare a mare: “Credo che col troppo pieno le vasche vengano aperte”, sospetta un pensionato, anche lui con la passione per la pesca, come la maggior parte degli uomini nati a San Giovanni a Teduccio. Un intervento per il risanamento igienico sanitario del litorale di San Giovanni a Teduccio attraverso la riqualificazione funzionale del collettore di Volla era stato progettato nel 2013. Due anni fa, poi, fu firmata una nuova convenzione tra Regione Campania e Comune di Napoli per una nuova programmazione dei fondi europei con cui finanziare i lavori da realizzare per sistemare gli impianti fognari e i sistemi di collettamento adiacenti all’alveo Volla. Ma ad oggi resta tutto fermo e continuano ad essere notevoli i disagi per i residenti che non possono ancora godere di quel tratto di costa.

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