Cronaca locale

Quell'antica passione della camorra per gli affari

La Dia: "Colletti bianchi occultano i tesori dei clan". Il rischio delle baby gang: "Rapporto di causa effetto tra degrado urbano e devianza giovanile"

Quell'antica passione della camorra per gli affari

Se c’è una passione che la camorra non ha mai perso è quella per gli affari. Far soldi è un obiettivo principe per clan e consorterie criminali che, grazie all’interessato aiuto di esperti colletti bianchi, riesce ad accumulare veri e propri “tesori” a discapito non soltanto delle istituzioni ma dell’economia reale della Campania e dell’Italia.

Lo hanno messo nero su bianco gli investigatori della Direzione Investigativa Antimafia nell’analisi inerente al secondo semestre del 2018 contenuta nella consueta relazione inviata alle Camere. “Il sistema camorra – si legge all’interno del documento – deve essere considerato come un insieme di sottosistemi molto diversi tra loro”. Tra i più preoccupanti c’è quello composto dai “sodalizi che, nella continua ricerca di nuovi metodi di controllo del mercati illegali evitano di contrapporsi allo Stato, tramandandosi da generazioni il potere criminale”. La vocazione all’impresa è un vecchio pallino dei clan. E che, prima ancora d'essersi mostrato in tutta la sua virulenza tra gli anni '80 e anni '90, addirittura, risale al XIX secolo quando “i precursori dei moderni imprenditori camorristi si erano assicurati il monopolio della distribuzione del fieno per le carrozze”.

Oggi, invece, la questione è assai più complessa e delicata. "La loro vocazione imprenditoriale affonda le radici nel passato e coniuga le finalità di riciclaggio dei capitali illeciti alla produzione di ulteriori profitti". Stando alle analisi della Dia, infatti, nessun campo produttivo è al sicuro dalle infiltrazioni. “I sodalizi si infiltrano nell’economia legale o attraverso la partecipazioni in imprese sane o operando direttamente con proprie ditte di riferimento”. Qui entrano in gioco i colletti bianchi che si prestano al crimine. Non soltanto garantiscono a questa seconda specie di imprese una sorta di imprendibilità, cambiando in continuazione assetti e sedi sociali ma si occupano di assicurare e di nascondere allo Stato i capitali dei clan.

Secondo quanto si legge nella relazione, “la perdurante vitalità della camorra è assicurata non solo da un’asfissiante infiltrazione sociale ma anche dalle connivene dei cosiddetti colletti bianchi ai quali è demandato il compito di occultare i tesori dei clan”. Perché di tesori si tratta, secondo gli investigatori: “Accumulati innanzitutto attraverso i traffici di stupefacenti esercitati oggi con modalità diverse rispetto al passato, dal momento che vengono affidati ad esperti broker in grado di importare la droga dai Paesi stranieri, di stoccare la merce e di distribuirla ai grossisti”.

Un altro affare, la criminalità, lo fa "grazie" agli scenari di difficoltà e di precarietà. La forza della camorra attinge a piene mani negli scenari di degrado urbano, sociale e culturale che offrono ai clan un autentico esercito. Una "folla" di gente che non attende altro di essere ingaggiata per compiti di manovalanza, più o meno minuta.

“Lo stato di disagio sociale e di illegalità diffusa che caratterizza ampie zone del territorio campano – scrivono gli investigatori -, la stessa connivenza tra organizzazioni camorristiche vere e proprie, gruppi di gangsterismo urbano e bande di giovani delinquenti fa sì che le prime possano, in ogni momento, contare su eserciti di centinaia di persone, costituiti anche da minori impiegati come vedette, trasportatori di armi, corrieri a domicilio per la consegna di sostanze stupefacenti, fino addirittura alla commissione di omicidi”. Insomma, le baby gang che terrorizzano città e periferia rischiano di rappresentare, per i clan, una sorta di rigoglioso vivaio da sfruttare.

Questa battaglia, però, si combatte (anche) con la cultura e l’impegno sociale. Per la Dia: “Fenomeno che non sembra arrestarsi è quello della devianza giovanile che si manifesta attraverso aggressioni immotivate o scontro tra bande, delle quali fanno parte, a volte, rampolli di famiglie criminali, provenienti da contesti familiari e metropolitani degradati”.

E ancora: “Chiaramente percepibile un rapporto causa-effetto tra il degrado sociale e familiare e la devianza giovanile”. La soluzione, secondo gli investigatori della Direzione Investigativa Antimafia, c’è: “Se è importante assicurare un controllo capillare del territorio anche nell’ottica di una mappatura delle zone dove è più alto il disagio giovanile, non meno importante sarà coinvolgere in iniziative culturali, sportive e formative i giovani che abitano in zone a rischio”.

E ancora, citando le conclusioni della riunione tenutasi a Napoli, nel settembre dello scorso anno, del Consiglio Superiore della Magistratura: “In molti casi può rivelarsi efficace, a tutela dei minori provenienti da famiglie inserite in contesti camorristici, in presenza di condotte gravemente pregiudizievoli per il loro sviluppo (replicando l’esperienza di altre aree a rischio come quella reggina) la decadenza dalla potestà genitoriale o l’allontanamento dalla residenza familiare”.

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