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Ecologia senza ideologia Il capitalismo è la tutela migliore

Torna il Festival della libertà. Contro il fanatismo ambientalista e l’utilizzo strumentale del «green»

Ecologia senza ideologia Il capitalismo è la tutela migliore

Giunto ormai all’ottava edizione, Il Festival della cultura della libertà che si terrà a Piacenza nel prossimo fine settimana porrà al centro la questione ambientale; e le ragioni che hanno indotto a scegliere questo tema sono evidenti. Da un lato è fuor di dubbio che la protezione della natura sia una questione cruciale.
Un individuo o un’impresa che inquinano non si limitano a peggiorare il mondo in cui viviamo, ma stanno ledendo nostri ben precisi diritti.

Per questo è urgente che le tesi liberali in materia di proprietà, esternalità e fallimenti dei beni collettivizzati siano meglio conosciute, così che tornino a essere alla base delle norme che regolano la nostra vita: come era nel diritto romano delle immissiones e nel diritto inglese del law of nuisance. Se non difenderemo nel modo più rigoroso i diritti individuali, anche l’ambiente finirà per degradare.

D’altro lato è chiaro, e su tale questione verteranno molte delle relazioni del festival, che l’appello alla natura è oggi la nuova arma brandita dai collettivisti di ogni colore. In fondo, alla maggior parte degli uomini politici riesce assai opportuno evocare imminenti catastrofi ambientali e sempre nuove minacce ecologiche, specie se questo può servire a moltiplicare i divieti, infittire le regole, inventare ulteriori imposte.

Com’ebbe a sostenere qualche anno fa il compianto Corrado Sforza Fogliani, a cui da quest’anno il festival è intitolato (e che con tanti sforzi per anni sostenne questa iniziativa), «il clima è diventato il cavallo di Troia di una ideologia anticapitalista». Gli eredi di quanti in passato volevano socializzare tutto in nome dell’odio sociale e della giustizia proletaria, ora stanno perseguendo un analogo obiettivo sostenendo che l’espansione del potere statale sarebbe necessaria a preservare le foreste, evitare l’innalzamento della temperatura e sconfiggere quello che chiamano lo «specismo«: la convinzione, in altre parole, che un bambino abbia una dignità superiore a quella di un’anatra oppure una salamandra.

Come le varie sessioni di sabato e di domenica metteranno in risalto, bisogna comunque prendere atto che il trionfo mediatico e intellettuale dell’estremismo ambientalista poggia su vari pilastri e su una micidiale alleanza tra interessi e ideologia. La cultura politica verde, emersa dapprima in California e poi diffusasi in Germania e in tutto il mondo, ha in larga misura riabilitato le tesi di Robert Malthus contro la crescita demografica, ha fatto propria una visione dirigista e tecnocratica (basti vedere le recenti scelte in tema di auto elettriche e case green), ha sposato logiche volte a spostare le decisioni governative sempre più lontano dai cittadini: si tratti dell’Unione europea oppure delle organizzazioni internazionali. Ha poi riformulato e radicalizzato le contestazioni rivolte all’economia di mercato.

Questo ha favorito una crescente saldatura tra l’ambientalismo ideologico e la finanza parassitaria. Per molti capitalisti privi di scrupoli non è parso vero poter realizzare utili colossali grazie a questa o quella normativa, oppure tramite finanziamenti di Stato. Le cosiddette “fonti alternative”, così la transizione verde che tutti i politicanti di destra e sinistra stanno promuovendo a ogni latitudine, hanno favorito il perverso matrimonio tra gli interessi dei legislatori e quelli di uomini d’affari più interessati a sfruttare il potere che a soddisfare le esigenze dei consumatori. Oltre a ciò, sposare l’ideologia ambientalista ha permesso al capitalismo woke di sottrarsi alle accuse provenienti dal moralismo reazionario e post-marxista, che circa un secolo imputava al mondo industriale di essere un fattore di distruzione. Quelli che prima erano i cattivi inquinatori ora si autorappresentano come i difensori di un futuro sostenibile, ambientalista e sociale, incassando dividendi a molti zeri.

Tale tradimento di una parte rilevante e forse maggioritaria del mondo imprenditoriale, che ha sposato lo Stato contro il mercato, ha anche ragioni di ordine psicologico e culturale. Se infatti nel dopoguerra vari eredi di imperi industriali pensarono di affrancarsi dalle proprie “colpe” sposando il marxismo rivoluzionario, oggi non pochi manager di aziende multinazionali ritengono sia necessario dipingere di verde ogni iniziativa per conseguire un’analoga innocenza. In questo senso, il radicalismo ecologista del World Economic Forum interpreta perfettamente sia la cultura, sia gli interessi di un pezzo significativo delle classi dirigenti.

Al riguardo una questione cruciale è il riscaldamento globale, su cui naturalmente ci si intratterrà in vario modo a Piacenza. Senza necessariamente entrare nei dibattiti che vedono opporsi climatologi, fisici, storici e altri specialisti, è fuor di dubbio che nella prospettiva delle élite contemporanea se il riscaldamento globale non ci fosse, varrebbe proprio la pena d’inventarlo.

L’idea che quasi ogni azione contribuisca a distruggere il pianeta permette a quanti ci comandano di mettere sotto accusa qualsiasi comportamento, bloccare in mille modi il libero mercato, esercitare un minuzioso controllo delle nostre attività e, infine, spostare sempre più a livello globale le decisioni politiche: perché secondo le tesi dominanti, non saranno certo il Liechtenstein e neppure l’Italia ad assumere le decisioni necessarie a risolvere la questione.

Due momenti speciali del festival saranno la lectio magistralis di sabato, affidata a Loris Zanatta, e quella di domenica, che vedrà protagonista Angelo Panebianco. Nel primo caso, lo studioso del mondo latino-americano si soffermerà su «La libertà e i suoi nemici», mentre lo scienziato politico bolognese affronterà un tema che purtroppo è di bruciante attualità, dato che parlerà de «La cultura della libertà di fronte alla guerra».

Dal programma del festival – promosso dall’associazione culturale Luigi Einaudi di Piacenza, dalla Confedilizia e da altre realtà – emerge in modo assai netto che bisogna proteggere l’ambiente dagli ambientalisti e dalle loro follie.

Ancor più, però, dobbiamo imparare a tutelare le nostre libertà fondamentali e i nostri diritti, dato che l’evocazione delle questioni ecologiche è ormai l’ultimo e più efficace espediente utilizzato da quanti vogliono disporre di noi e delle nostre vite.

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