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Morti sul lavoro, se le leggi (da sole) non bastano

L’Italia ad oggi è tra i paesi con la normativa più restrittiva in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, e ciò nonostante siamo tra i paesi occidentali più vulnerabili

Morti sul lavoro, se le leggi (da sole) non bastano


La tragedia ferroviaria di Brandizzo, dove la scorsa notte un treno merci ha spento per sempre la vita, le speranze ed il futuro di 5 uomini e delle loro famiglie, riporta prepotentemente in primo piano il tema della sicurezza sul lavoro.

Kevin Laganà il più giovane era un ragazzo di soli 22 anni, Michael Zanera di anni 34; Giuseppe Sorvillo, 43 anni; Giuseppe Aversa, 49 anni e Saverio Giuseppe Lombardo di anni 52, in una tranquilla notte di fine agosto, inconsapevoli di quanto il destino avesse loro riservato, stavano lavorando ed immaginavano un futuro migliore.

Il lavoro appunto, quello che dovrebbe portare serenità e sicurezza nelle famiglie, quello che dovrebbe nobilitare l’uomo, offrirgli la speranza per un domani radioso, ed invece si trasforma in uno spietato killer, portatore di disgrazia, che lascia nella paura e nel dolore un’intera comunità, il lavoro che doveva garantire il futuro glielo ha cancellato portandosi via per sempre quanto avevano di più prezioso “la vita”.

Non entreremo nel merito delle indagini e delle responsabilità oggettive, ma di certo quando accadono fatti del genere non si può dare la colpa al fato, chi come me si occupa di sicurezza sa benissimo che, se è pur vero che il rischio zero non esista, oggi abbiamo gli strumenti per ridurlo e riportarlo in un campo così detto di accettabilità.

Il rischio è infatti il prodotto di due fattori una probabilità che un certo evento possa cagionare un danno ed una magnitudo, ossia il suo potenziale impatto; e l’analisi del rischio di norma lavora su due leve la prevenzione e la protezione, la prima riduce la probabilità di accadimento, la seconda la magnitudo (ossia riduce i potenziali effetti negativi), ma badate bene il tutto funziona solo se inserito in un contesto culturale adeguato.

Senza un’autentica cultura della sicurezza, nessuna legge, norma o sanzione potrà mai essere pienamente efficace, e purtroppo il nostro è un paese che già mal digerisce le regole, ma fatica ancor di più a metabolizzare una cultura della sicurezza che si traduca in un’attenzione proattiva alla questione della sicurezza.

Tale cultura della sicurezza non la si può trasferire in modo nozionistico, ma deve diventare centrale in un processo educativo che interessi tutte le agenzie preposte le famiglie, la scuola, i centri di formazione, le agenzie del lavoro e le istituzioni.

Quando ci si riferisce al tema della cultura della sicurezza si fa riferimento, in modo molto più ampio, al fatto che si debbano dare risposte forti su prevenzione e protezione del territorio, sulle politiche di analisi e di indagini preditive e preventive, sui modelli organizzativi delle aziende. E tale esempio virtuoso non può non venire in primis dalle istituzioni che in questo modo dimostrano con i fatti che il nostro è un paese meraviglioso che fa della cultura della sicurezza e dunque della prevenzione un baluardo insostituibile, senza questo diventa arduo il compito di far comprendere al cittadino l’importanza di assimilare una piena cultura della sicurezza che si traduca in un’attenzione alla prevenzione ed alla protezione in ogni attività del proprio quotidiano sia esso lavoro o tempo libero.

Ma oggi cosa possiamo fare concretamente? La risposta più naturale dopo un’immane tragedia come questa è quella emotiva e che ha sempre portato nel nostro paese a valutare l’inasprimento delle pene, al moltiplicare procedure, norme, modelli, ma purtroppo temo che non basterà. L’Italia ad oggi è tra i paesi con la normativa più restrittiva in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, e ciò nonostante siamo tra i paesi occidentali più vulnerabili, abbiamo una media di 2,25 decessi ogni 100 mila lavoratori contro una media UE di 1,77; per questa ragione è forse giunto il tempo di proporre meno leggi ma più buone azioni e buone pratiche, far così comprendere ai nostri lavoratori e ai nostri imprenditori che la sicurezza è un valore e non un onere, che un’azienda sicura vale molto di più di una meno sicura, che sicurezza e qualità vanno a braccetto
e che una vita vale più di qualunque contratto.

Bisognerà anzitutto invertire la perversa logica del profitto a tutti i costi e la conseguente definitiva sconfitta della centralità della persona, che da fine diventa mezzo, merce, strumento di profitto appunto. Il lavoratore deve ritornare ad essere il fine e come tale la sua salvaguardia deve avere l’assoluta priorità, ma perché ciò avvenga si deve puntare su un processo culturale, unico strumento utile a rigenerare le coscienze e modificare le abitudini.

Tutto questo perché non possiamo continuare a fingere di non vedere e voltarci dall’altra parte, dietro ogni morte c’è un dramma sociale, una sconfitta per un’Italia che non è in grado di creare occupazione e di proteggere chi un’occupazione troppo spesso è costretto ad accettarla per sopravvivere, per offrire una flebile speranza ad un bimbo e ad una moglie che attenderà invano il suo eroe.

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