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Messina Denaro, il fratello del piccolo Di Matteo: "Perdonarlo è impossibile"

Il cugino Giuseppe Cimarosa: "Mi dispiace che abbia trascorso così poco tempo in carcere". Nicola Di Matteo: "Ero certo che non avrebbe collaborato"

Messina Denaro, il fratello del piccolo Di Matteo: "Perdonarlo è impossibile"

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"Perdono impossibile". Le reazioni alla morte di Messina Denaro

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Matteo Messina Denaro è morto nella notte tra domenica e lunedì per le conseguenze legate a un tumore al colon al quarto stadio. Il boss mafioso si è spento nel reparto per detenuti dell'ospedale San Salvatore dell'Aquila a nove mesi di distanza dalla cattura, giunta dopo trent'anni di latitanza. Le prime reazioni sono categoriche: il perdono è impossibile. "Ancora devo metabolizzare la notizia. Con sé si porta dietro tanti segreti. Ero certo che non avrebbe collaborato", le parole all'Adnkronos di Nicola Di Matteo, fratello di Giuseppe, il bambino strangolato e poi sciolto nell'acido:"Il perdono è impossibile. Sono tutti imperdonabili. Tutti. Lo sono per mia madre soprattutto, ma anche per me".

Messina Denaro è rimasto troppo poco tempo dietro le sbarre secondo Giuseppe Cimarosa, cugino dell'ex primula rossa:"Quello che mi dispiace, e lo dico non per vendetta ma per giustizia, è che in carcere abbia trascorso così poco tempo. È morto troppo presto, avrebbe dovuto scontare più a lungo la sua pena, sperando che, facendosi un esame di coscienza, per una volta facesse la cosa giusta: iniziare a collaborare con la giustizia. Questo è quello che mi dispiace di più". Cimarosa s'è anche soffermato sui messaggi di cordoglio alla famiglia del superboss: "Sono sgomento. Vedere quanti messaggi di condoglianze e vicinanza ai familiari sono arrivati da parte dei miei concittadini e non solo, persone comuni, mi sconvolge. Sono tanti, troppi. Sono molto demoralizzato. Sono messaggi terribili, ancora di più perché non si tratta di coetanei del boss, tanti sono ragazzi. Anche più giovani di me. È atroce".

Sono in molti a chiedere giustizia, Giuseppe Costanza pretende la verità sulle stragi di mafia e dei mandanti. Così l'autista di Giovanni Falcone, sopravvissuto alla strage del 23 maggio 1992:"Con sé ha portato tutti i segreti che avrebbe potuto rivelare. Cosa nostra non si esaurisce con la sua morte [...] Adesso occorre andare sino in fondo, scoprire chi ha consentito che la sua latitanza durasse 30 anni. Senza protezioni non sarebbe stato possibile". Riflettori accesi sulle stragi di Cosa Nostra anche da Antonio Vullo, l'agente di scorta di Paolo Borsellino, sopravvissuto alla strage di via D'Amelio: "Sono stanco e disgustato da tante cose. Non ho più voglia di parlare. Dico solo che con Messina Denaro se ne va un altro protagonista di quegli anni, una mente storica che avrebbe potuto darci elementi utili a ricostruire cosa è successo. Ancora una volta la verità sulle stragi si allontana".

Tranchant Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo:"È morto un criminale. Secondo me la sua cattura non è stata un successo dello Stato, ma una resa a fronte della sua malattia. Ha preferito farsi curare dallo Stato piuttosto che curarsi nella latitanza. Purtroppo, essendo laico, non posso neanche sperare in una giustizia divina. Questa sua latitanza è stata una vergogna per lo Stato, come lo sono state le latitanze di Bernardo Provenzano, di Totò Riina", le sue parole a LaPresse. Una battuta anche sulla cattura avvenuta lo scorso gennaio:"Vengono catturati nel momento in cui cambia qualcosa e viene meno in qualche maniera il loro sistema di protezione.

Purtroppo questa cattura non ha portato a nessun contributo nella ricerca di verità e giustizia e sui segreti che si porta, soprattutto sui rapporti tra mafia e Stato".

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