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Pericoli per donne e figli con il "Tribunale islamico"

Le insidie nascoste nella proposta della comunità religiosa: «Incompatibile con una società moderna»

Pericoli per donne e figli con il Tribunale islamico

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Pericoli per donne e figli con il Tribunale islamico

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Una giurisdizione islamica in Italia? Un pericolo. Preoccupa la proposta di un giudice speciale che decidere su matrimoni e diritto di famiglia, un’idea avanzata apertamente nei giorni scorsi, contenuta in un articolo pubblicato dal giornale «La Luce», che si presenta come uno dei più importanti organi di informazione dell’islam italiano.


L’autore, il fondatore dell’Ucoii Hamza Piccardo, chiede pubblicamente «un registro nazionale dei matrimoni islamici», «l’iscrizione al quale - spiega - costituirebbe l’accettazione preventiva di una giurisdizione islamica in caso di controversia divorziale». E un altro articolo presenta come un «caso di scuola» quello delle corti islamiche inglesi, che proprio nelle decisioni su matrimoni e figli ha il cuore della sua attività L’idea di una giurisdizione islamica viene proposta come uno strumento attivabile dalle donne - perché gli uomini non hanno problemi - ma sarebbero proprio le donne a rischiare di più, se fosse introdotto un diritto di famiglia parallelo. Ne è convinta Maryan Ismail, musulmana, italo-somala, firmataria del «Patto per l’Islam italiano», che da anni come voce nel deserto un islam chiede un islam più moderno. «Si tratta di questioni concrete e importanti: i bambini, gli alimenti.


Che necessità abbiamo di introdurre questo nel nostro ordinamento? Il divorzio nell’islam viene chiamato Talaq per l’uomo (che ripudia) e Khul per la donna, che invece rescinde il contratto restituendo la dote, più una quota aggiuntiva. Deve essere molto benestante per poterselo permettere». «Si metterebbe un cappio al collo delle donne - insiste - Molte immigrate già non lavorano, cosa farebbero se venisse meno anche la tutela di tribunale italiano? Inoltre non si capisce quale sharia sarebbe applicata. Quale scuola? Di quale Paese? E se il Paese d’origine dei due sposi sono diversi? E le seconde e terze generazioni, spesso con doppia cittadinanza, perché dovrebbero far riferimento a ordinamenti diversi dall’italiano?».


Una giurisdizione parallela e un’estensione della sharia, intanto, viene vista come un rischio per molti.
«È un pericolo innanzitutto per le donne musulmane - osserva anche Davide Romano, degli Amici di Israele - si darebbe legittimazione a quei gruppi dell'islam che puntano alla separazione dalla società italiana. Dobbiamo invece fare l’opposto: per integrare l’islam italiano bisogna devono far proprie le nostre leggi egualitarie, non importare le loro qui».
Il centrodestra boccia la proposta.


«Sono prove di sharia, sull’esempio di altri Paesi europei - sbotta Silvia Sardone della Lega- da bloccare assolutamente». Anche il senatore Gianluca Cantalamessa, capogruppo Lega in Antimafia, chiude: «Prima dei diritti si deve parlare di doveri e valori, a partire dalla condizione della donna, per noi vale per tutte le concezioni religiose che vogliono riconoscimento. Il governo a luglio ha convocato consiglio per l’islam per aprire un dialogo, ma partendo dal presupposto che devono essere riconosciuti i nostri valori e le nostre leggi». La Lega ha presentato le sue proposte sulle moschee, i sermoni in italiano e sul registro degli imam. «Ricordo - aggiunge - l’interrogazione del nostro presidente, Romeo sul Qatargate. Le moschee ricevono milioni di euro, ma spesso sono luoghi in cui si fa politica non religione».
E Giacomo Calovini, di Fdi esclude che ci sia «un’emergenza legata ai registri di nozze islamici». «L’Italia - dice - è una nazione che non discrimina nessuno». «Non si capisce per quale motivo si debba valutare dal punto di vista legislativo una via preferenziale per il mondo islamico».

«Le comunità musulmane meritano tutto il nostro rispetto - aggiunge - ma mi permetto di pensare che debbano riuscire ad essere rappresentate da persone più autorevoli, che ci sono».

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