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Da Pisa a Bologna a Napoli: così gli intolleranti trasformano in roccaforti tutti i luoghi del sapere

Subito dopo il 7 ottobre è iniziata l’escalation delle contestazioni e dei cortei. Ora l’obiettivo è cambiare la definizione di antisemitismo e alimentare il boicottaggio di Israele

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Le università pubbliche italiane dovrebbero rappresentare luoghi di confronto, dibattito e pluralismo ma, dal 7 ottobre dello scorso anno, sono diventate ostaggio dei collettivi che hanno promosso posizioni filo palestinesi e anti israeliane. L’ultimo caso è l’Università di Torino che non parteciperà al bando 2024 del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per la raccolta di progetti di collaborazione con le istituzioni di ricerca israeliane dopo un voto da parte del Senato accademico dell’ateneo.

La decisione del Senato accademico dell’Università di Torino arriva pochi giorni dopo l’interruzione degli eventi dei giornalisti David Parenzo e Maurizio Molinari rispettivamente all’Università La Sapienza di Roma e Federico II di Napoli per il solo fatto di essere ebrei.

Non va meglio a Pisa dove il rettore Riccardo Zucchi, in occasione dell’apertura dell’Anno Accademico, ha invitato a parlare Anas Khalil, rappresentante del gruppo di studenti «Rompere l’assedio» e figlio dell’imam di Pisa che all’indomani del 7 ottobre aveva definito l’azione di Hamas un atto di resistenza contro Israele. Inoltre, spiega Celeste Vichi, Presidente Unione Associazioni Italia Israele: «Il Senato accademico ha adottato una mozione in cui si decide di rimettere in discussione da parte dell’ateneo la definizione operativa di antisemitismo Ihra già dallo stesso adottata nel 2018 in occasione dell’ottantesimo anniversario della firma delle leggi razziali, che avvenne a Pisa quale atto riparatorio. È fondamentale arrivare all’adozione della una legge sull’antisemitismo, depositata in Senato dalla Lega, in cui è richiamata dalla definizione IHRA”.

All’Università di Bologna a febbraio era invece intervenuto Omar Barghouti, fondatore di BDS, movimento “per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni” contro Israele. Si tratta di un movimento che, da quando è stato fondato, ha compiuto numerose campagne sfociate in posizioni radicali anche nei confronti di singole persone e aziende bollate come «sioniste» al punto che l’Ihra (International Holocaust Remembrance Alliance) ha sottolineato in varie occasioni il pericolo delle attività di Bds per le comunità ebraiche.

Sempre a Bologna a novembre era stato esposto dai membri del Collettivo Universitario Autonomo uno striscione con scritto “Pulizia etnica e colonialismo, neutralità e complicità” dopo un sit-in fuori dall'edificio del rettorato. A Parma invece un collettivo universitario ha occupato il chiostro della facoltà di Lettere sventolando bandiere della Palestina ed attaccando le compagnie petrolifere chiedendo all’università di prendere posizione contro Israele.

Difficile tenere il conto di iniziative, occupazioni e conferenze anti israeliane avvenute in questi mesi nelle università pubbliche, così come dei cartelli e delle scritte antisioniste e antisemite. A fine novembre una scritta antisemita è stata lasciata da ignoti al polo universitario di Novoli a Firenze «Fuori Israele dall'Unifi. Palestina libera», mentre a Cagliari sono stati imbrattati i muri dell’Università con vernice rossa e la scritta antisemita «Unica sionista».

Che esista un problema nelle università italiane emerge anche da un sondaggio compiuto dall’Istituto Cattaneo lo scorso autunno secondo cui quasi la metà degli studenti universitari italiani (con esattezza il 46,3%) considera vero che «il governo israeliano si comporta con i palestinesi come i nazisti si comportarono con gli ebrei».

Una percentuale che, se il sondaggio fosse realizzato oggi, sarebbe probabilmente maggiore poiché le idee antisemite sono sempre più diffuse nei nostri atenei.

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