Cultura e Spettacoli

Nei caffè letterari del villaggio globale

Erede di McLuhan, lo studioso Derrick de Kerckhove evoca l’ideale del rinascimento urbano. «I festival dei libri sono ipermercati della cultura»

La città è un cantiere di carta. I ragazzi in t-shirt corrono lungo le strade di pietra antica. È una strana coreografia, casuale, concitata, allegra. Tutti sul petto hanno il pass plastificato blu, simile a quello che Derrick de Kerckhove stringe tra le mani e cerca inutilmente di far scivolare nella tasca della giacca. Anche lui è un cittadino di questa roccaforte. Almeno per questi giorni, almeno per questa settimana di settembre. Il professor de Kerckhove è l’erede di Marshall McLuhan, l’uomo che un giorno trovò il «villaggio globale». McLuhan ha visto l’alba della globalizzazione, de Kerckhove la sta vivendo. E raccontando.
Mantova ti scorre intorno un vicolo dopo l’altro. «È uno spettacolo bello da vedere. La cultura sta riconquistando gli spazi fisici. C’è un desiderio crescente di partecipazione. È la quarta parete, quella che in teatro divide gli attori dal pubblico, che va in frantumi. La colazione con l’autore, il caffè con lo scrittore, le chiacchiere nottambule, mettono in scena questa illusione, questo sogno: io e l’artista siamo soci dello stesso club, cittadini della stessa città». Forse è qui il segreto di Mantova. È come sedersi sulla rive gauche e aspettare che Modigliani passi a vendere i suoi colli lunghi. È andare a Venezia e ordinare qualcosa di forte all’Harry’s Bar e scambiare due battute con il vecchio Hemingway. È prendere il sacco a pelo e fare l’autostop con Kerouac. È dormire nella Factory di Andy Warhol. È sentirsi per quattro giorni come Fernanda Pivano. È un’illusione?
«Può darsi che lo sia, ma non è importante. Ciò che conta è che ci sia una forte domanda di cultura, un interesse consumistico per un prodotto considerato fino a ieri quasi sacro e comunque per pochi. Noi viviamo in una società cognitiva, nell’era della conoscenza e c’è una richiesta d’informazione, di cultura in senso molto ampio, che comincia a trovare un’offerta adeguata. Guarda Mantova. È piena di storia. Si mangia bene. L’architettura ha il fascino senza tempo delle città italiane, ma oggi è un incantevole ipermercato della cultura». Ipermercato? Messa così sembra qualcosa di triste e un po’ squallido. «Solo perché ti fai ingannare dalle parole, dal linguaggio. E invece tutto questo è positivo. E non è neppure omologante, come spesso si crede. Le città quando vendono la loro merce culturale mettono in mostra anche la propria identità. Non sono tutte uguali. Ma l’aspetto più importante è un altro: formano cittadini della cultura. E in un’epoca come questa le città per vincere la competizione con le altre piazze hanno bisogno di élites illuminate, ma anche di una popolazione colta. Il governo cinese sta pensando di aprire un museo in più di mille città. Non è solo un vezzo, te lo assicuro. È la controrivoluzione culturale. È capire che la tecnologia, le merci e la cultura corrono dalla stessa parte. L’Italia, in questo senso, avrebbe un capitale unico al mondo. Ma lo sa?». Lo sa. Ma lo sa e basta.
Mantova è un luogo di parole. Tutti dicono che in Italia si legge poco, mentre attraversi un fiume di spalle e di gambe ti chiedi dove sia l’errore. Nessuno legge, ma sono tutti qui ad ascoltare chi scrive. È una domanda che ormai gira da qualche anno. Ma forse il professore sa la risposta. In principio era il verbo, ti sembra di capire.
«Il logos - dice l’ultimo allievo di McLuhan - è tornato in forma elettronica. Il logos è associato al concetto di creazione: tutti i miti cosmogonici si basano sul potere creatore della parola: la divinità crea attraverso il logos. Il dio africano Faro, per esempio, crea attraverso la bocca: la sua parola è una forma di tessitura della realtà. Molti studiosi, fra cui Jacques Derrida, hanno messo in rilievo come nella classicità greca il logos svolgesse un ruolo fondamentale nell’organizzazione della realtà: il logos era magico. Con l’avvento della scrittura alfabetica, però, si determina una frammentazione del linguaggio. Le nove muse ispiratrici delle diverse arti incarnano proprio questa frammentazione del logos. Infatti, c’è la danza, la poesia, la musica: tutte forme artistiche che, partendo da un processo di astrazione, cercano, ognuna a loro modo, di fare i conti con questa frammentazione del logos. Con l’interattività, la virtualità e la connettività della rete avviene una ricostruzione elettronica del logos. È stato come riavvolgere un nastro». Mantova è un grande contenitore di parole. Mantova è un ipermercato.
Guardare Mantova con altri occhi e vedere come funziona l’ipermercato. Ti chiedi se le merci siano in fin dei conti le stesse che circolano in tutto l’Occidente. Segui gli appuntamenti e leggi i nomi di John Grisham, di Nick Hornby, di Michael Connelly, di Roddy Doyle, confusi nello stesso piatto di macedonia dove trovi la frutta italiana: Lucarelli, Piperno, Moccia. Ti chiedi se questi sono gli stessi di Hay-on-Wye in Galles o del Bjørnsonfestivalen di Molde, Norvegia. Derrick de Kerckhove sorride: «Rimpiangi i vecchi caffè letterari? Quelli dove gli scrittori, minoranza annoiata, s’incontravano per ammazzare le sere e i pomeriggi d’inverno? Erano quasi sempre gli stessi volti, protagonisti di un mondo immobile, cittadini della comunità intellettuale, che condividevano odi, invidie e interessi. Magari anche quei caffè torneranno, ma si ricordi che lì si discuteva soprattutto di politica, come accade oggi nei blog. Oltre alla città concreta, c’è infatti una meta-città, quella città globale che sorge intorno alle reti, i circoli virtuali, lo scambio d’informazione che circola sui blog, quel progetto spontaneo che è Wilkipedia, l’enciclopedia on line aggiornata e completata dagli stessi utenti. Il sogno di Diderot e d’Alembert che diventa realtà. La meta-città non ha cancellato le città reali. Anzi, forse le ha risvegliate. Io credo che se tanta gente è oggi qui a Mantova a respirare letteratura, scienza, teatro e poesia è un po’ merito della grande rete. La cultura crea cultura. La cultura è una funzione esponenziale. La cultura è sempre un numero elevato all’infinito».

Derrick de Kerckhove è oggi al Festivaletteratura di Mantova.

Nella chiesa di Santa Paola (ore 16) parlerà di città e di cultura, evocando il sogno di un rinascimento urbano.

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