Controcultura

Nel delitto del Circeo si specchiò l'Italia

Andrea CateriniN e La scuola cattolica è evidente lo scollamento tra le parti saggistiche e quelle narrative - autobiografiche c'è una dismisura sia nei ragionamenti che nel racconto, tanto che mentre si legge l'uno o l'altro c'è sempre un momento di saturazione oltre il quale si vorrebbe cambiare passo (dalla narrativa alla saggistica e viceversa). In tutte le 1300 pagine, Albinati ci ricorda il periodo in cui accade la storia che sta raccontando. Si tratta del delitto del Circeo avvenuto nel '75, nel quale tre ragazzi borghesi del quartiere Trieste a Roma (lo stesso dell'autore e dove pure hanno frequentato, lui e loro, una scuola privata gestita da preti), stuprano e uccidono due ragazze (una morta realmente, l'altra si è finta tale). Del fatto di cronaca si serve per costruire un discorso sulla borghesia, che è qui analizzata al microscopio, con un movimento strutturale che va dal particolare al generale. Quella storia, «un prodotto dei tempi, ma anche un produttore di tempi, di storia, di concetti di costumi», è la frattura da cui si irradiano e a cui ritornano le ramificazioni dei diversi argomenti. La borghesia e il suo rapporto con educazione, religione, desiderio, denaro, famiglia, politica, sesso, violenza, morte. Il delitto è il pretesto per raccontare l'Italia, e l'Italia il pretesto per descrivere la natura umana, per sviscerarne la violenza che ne è insita che può essere repressa o esibita o ancora manifestarsi lì dove sembrerebbe trattarsi d'altro. Pare che l'atrocità dell'evento abbia messo l'autore nella condizione di essere testimone e al contempo estraneo della realtà, di esserci e insieme non esserci, lasciandolo in un'ambiguità. Dico in quello spazio verbale che separa e protegge il soggetto che narra da una conoscenza diretta della vita la paura che la vita nell'ambiguità ci annienti; che è poi la paura di vivere, se è vero che tutte le esperienze biografiche narrate sono atti mancati e, di contro, l'articolazione del ragionamento è di un'intelligenza concretissima. La «storia» ha offerto simbolicamente a chi scrive la possibilità di comprendere la natura «negativa» del reale, qualcosa che mentre distrugge e ci distrugge offre un «piacere degradante».

Così l'eccedenza del libro è un'altra forma di violenza (un nascondimento) nello spazio mentale della scrittura; fino a che, oltre ogni saturazione, si era pronti a tornare alla ferita da cui tutto è nato.

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