Controcultura

Nella Natività di Giotto c'è la culla dell'umanità

La dimensione affettiva, materna di Maria va oltre la dimensione della festa cristiana

Nella Natività di Giotto c'è la culla dell'umanità

Non vorrò pronunciare un'omelia ma non saprei parlare di una natività, ovvero di un presepe, se non come illustrazione profonda di valori cristiani. Che vuol dire nella figura stessa del Cristo, valori umani. Cristo è Dio, per taluni, per molti; ma la sua più autentica, profonda, natura divina, anche a confronto con altre divinità, è nell'essere stato e, direi, essere, un uomo. La natività racconta il momento originale della vita di un uomo. La celebrazione, la commemorazione, di grandi uomini si celebra, da sempre, negli anniversari della nascita o della morte. Questo avviene per poeti e artisti, con le cadenze lunghe del secolo o del mezzo secolo. Nel caso di Cristo la celebrazione è annuale, secondo i riti di una religione che segue una liturgia, quella, per esempio, che, annualmente, cadenza il Ramadan.

Ma Cristo va oltre i riti religiosi, ed entra direttamente nelle consuetudini umane e quotidiane, non solamente cristiane. In questo momento nel mondo, anche nello Yemen, anche in India, anche in Algeria, anche a Bali, anche in Cina, sono le 9,35 del 23 dicembre 2018. Non c'è storia. Anzi: non c'è altra storia. Il Natale di Gesù, il giorno della sua nascita, il 25 dicembre, è stato fatto coincidere con la data della festa pagana di Mitra, il Dies solis invicti. Il culto di Mitra origina il culto di Gesù, e numerosi sono i mitrei del mondo romano, molti nel Lazio, il più bello e completo a Sutri. Poiché il culto di Mitra è molto più antico del cristianesimo, ovviamente sono stati i cristiani a inserire nella propria religione elementi propri al mitraismo, e non viceversa. Comunque fu dal sincretismo del culto di Mitra e del culto del Sol invictus che si sviluppò la festività del 25 dicembre, originariamente come ricorrenza della nascita di Mitra.

Nel periodo più buio dell'anno, alla fine del giorno più breve dell'anno, si celebrava la festa della luce. L'importanza del mitraismo nel mondo romano fu talmente grande che alcuni studiosi lo considerano il primo concorrente del cristianesimo e altri suo precursore. Sta di fatto che il culto di Mitra era esclusivamente maschile, mentre il cristianesimo accolse anche le donne. Le analogie fra Mitra e Gesù sono tante. Anche Mitra, come Gesù, era stato mandato sulla terra dal padre per combattere contro il Male; anche Mitra era accompagnato da dodici seguaci; anche Mitra celebrò con essi l'ultima cena prima di morire; anche Mitra resuscitò dal regno dei morti; anche Mitra, in qualità di Sol invictus, ha il capo circondato da un'aureola (di raggi solari); anche il culto di Mitra contempla l'inferno e il paradiso, il giudizio universale; anche il giorno dedicato a Mitra era la domenica; anche il gran sacerdote del culto di Mitra veniva chiamato Papa e portava il copricapo frigio di colore rosso, un mantello rosso, un anello e un bastone pastorale; anche gli iniziati al mitraismo praticavano un rito di consumazione di pane, vino e acqua. Il 25 dicembre è dunque sintesi di antichi culti e inizio di un'epoca che non minaccia di finire, che è il giorno e la notte di tutti. Soltanto gli ignoranti, e talvolta presidi e professori, possono pensare di sconsacrare questa festa o di farla coincidere soltanto con la religione cristiana, escludendo, come qualcuno ha imposto, il presepe dalle scuole.

Quel Bambino che nasce è tutti i bambini del mondo, anche per chi non crede. La storia che porta a quel momento e che da quel momento inizia è narrata mirabilmente da Giotto nella cappella degli Scrovegni a Padova. Siamo agli inizi del Trecento, tra il 1303 e il 1305 e, con quel ciclo di affreschi, inizia l'arte moderna. L'episodio della Natività, in particolare, è affrontato con grande semplicità, esaltando la dimensione affettiva, materna, la «cura» che Maria e l'altra donna garantiscono al bambino, in un intrecciarsi di braccia, di fasce, di panni. Ognuno ha la sua posizione. Giuseppe sta seduto in primo piano: medita, vigila, riposa. Avvertiamo il peso del suo corpo. Una persona vera. Il bue e l'asino sono esattamente nelle posizioni, più statica quella del primo e più mossa quella del secondo, che noi immaginiamo pensando ai due animali. Di infinita naturalezza sono i due pastori, in piedi, avvolti nelle loro tuniche, che alzano gli occhi al cielo per vedere la festa e il richiamo degli angeli danzanti sulla provvisoria tettoia di legno che l'architetto Giotto accosta alla roccia (e che potrebbe essere una buona ispirazione per gli architetti che vogliono costruire una galleria alle spalle di Palazzo dei Diamanti a Ferrara). Miti stanno, e raccolte in gregge, pecore e capre.

Tutto c'è, ed è essenziale e parlante. Ma, più di tutto, è intenso e vivo lo sguardo amorevole e protettivo della madre distesa sul sedile di roccia, alla foggia romana. Per la prima volta nella pittura e nello stesso spirito della scultura di Giovanni Pisano, il segno evidente del gesto affettivo ci trasmette un'emozione profonda. La Natività è, soprattutto, amore materno.

Una festa dell'uomo, prima che una festa cristiana.

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