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Quel nodo che ci ricorda di essere (veri) uomini

Il nodo è l'anima della cravatta, fa la differenza

Quel nodo che ci ricorda di essere (veri) uomini

Da qualche tempo a questa parte, la cravatta è snobbata non solo dai buzzurri che la portavano soltanto col vestito della festa indossato per andare in chiesa, la domenica e in occasione di battesimi e matrimoni. Se ben ricordo, il primo «figo» che si è appalesato in televisione con la camicia bianca, colletto slacciato e disadorno, fu Gianni Riotta, direttore del Tg1 e poi del Sole 24Ore. Imitava i colleghi americani che gli piacevano tanto, essendo lui stato a lungo negli Stati Uniti quale corrispondente del Corriere della Sera.La moda funziona così. Ad un certo punto, un personaggio abituato a stare sotto i riflettori, fa uno strappo alla regola e tutti quelli che amano essere sulla cresta dell'onda gli vanno dietro. Dietro a Gianni Riotta ci andarono in molti. Cosicché la povera cravatta ha subìto un duro colpo. Nel senso che perfino a me è capitato di circolare senza di essa. Ma confesso di essermi sentito perso, quasi ignudo. Infatti, quelli della mia generazione la considerano una guarnizione irrinunciabile per presentarsi in società, convivere degnamente con i propri simili, non vergognarsi di se stessi.

Lo scravattamento, a mio modesto giudizio, è parente stretto dello svaccamento. Se ne sono accorti in parecchi anche fra coloro che inizialmente avevano seguito il cattivo esempio di Riotta, salvo riconoscere quasi subito di avere sbagliato, tanto è vero che hanno ricominciato a cingersi il collo con la suddetta cravatta. Mi auguro che tengano duro e non vi rinuncino più, se non quando indossino il pigiama. A letto se ne può fare a meno.Il problema principale tuttavia non è tanto quello di incravattarsi, bensì quello di scegliere l'oggetto in questione più adatto al proprio abbigliamento. E ciò richiede un lavoro faticoso, talora estenuante. La selezione della cravatta acconcia comporta un esercizio mattutino tale da consumare copiose energie.

Essa va accostata in modo armonico non solo alla giacca, ma anche alla camicia. Bisogna impegnarsi in prove cromatiche non facili. Un esempio: il rosso (o il granata) col blu è scontato, banale, e va evitato con cura. Il giallo può andare bene soltanto con il grigio chiaro, ma è comunque un azzardo. La tinta unita è sempre da preferirsi, purché intonata - ovvio - al vestito. E per capire se si intona, è obbligatorio fare un esperimento alla luce naturale: sovrapporre la cravatta al costume e costatare che non si crei un conflitto di colori.L'esperienza aiuta a non commettere errori. Occorrono anni per imparare a trovare rapidamente la soluzione. Un consiglio: osservare con attenzione le persone che ci appaiono eleganti. Studiarle è indispensabile. Non è finita. L'ostacolo maggiore è costituito dal nodo che impone, per essere accettabile, operazioni delicate da condursi con scientifica applicazione. Un nodo molliccio che si stacchi nel corso della giornata dal colletto è un insulto al buon gusto. Perdonate il termine: fa schifo perché produce l'effetto Umberto Bossi, il quale, insofferente alla cravatta, scambiandola per un cappio utile a impiccarsi, la prediligeva moscia. Risultato: un obbrobrio ancorché non letale.

Quindi? Il nodo è l'anima della cravatta, fa la differenza: se è duro, stretto, incollato al pomo di Adamo è la quintessenza della sciccheria, un tocco inconfondibile di classe; se ha la dimensione di una boule è il distintivo del cafone. L'arte di annodare in modo appropriato si può apprendere se si ha il senso dell'estetica. Altrimenti conviene ripiegare sulla maglia dolce vita. Una raccomandazione: scartare le cravatte larghe quali sciarpe.

Se le possono permettere solo i venditori di pubblicità televisiva, i peggiori.

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