Economia

Nuovi «rigattieri», ma online

Negli Stati Uniti è boom dei «drop shop», negozi in cui non si spende ma si guadagna, con l’opzione di devolvere il ricavato in beneficenza

Lavinia Borea

da Milano

Negli Usa è stato definito uno dei business più hot del 2005. È la rivincita dei negozi all’angolo sulle transazioni online. Sono i drop shop, i primi negozi dove anziché spendere si guadagna. Gli lasci la vecchia macchina fotografica, l’attrezzatura di quando avevi velleità da pescatore di salmoni. Loro mettono tutto all’asta su internet. Negozi che aiutano chi non ha un pc o non riesce a liberarsi di cianfrusaglie e regali irriciclabili. Si occupano di tutto il processo di vendita.
Iniziano con una stima iniziale del bene, realizzano la fotografia, una descrizione accattivante, inseriscono l’annuncio, rispondono alle domande dei potenziali acquirenti, provvedono all’imballaggio, alla spedizione e persino a incassare il denaro della vendita. Perché se acquistare online è abbastanza semplice, vendere è un vero lavoro. Con i drop shop, basta lasciare (drop) il bene, compilare un modulo e incassare i proventi, c’è persino l’opzione di offrire il ricavato in beneficenza.
Un servizio in cambio di una commissione, che si somma a quella del sito di aste on-line. Commissioni elevate, tra il 30-40%, ma ci si avvale di veri esperti di aste online, in grado di spuntare spesso prezzi più elevati. Sembra quindi che ne valga la pena. Lo conferma il fatto che le catene di drop shop negli Usa stanno nascendo come funghi, sono già una decina tra cui QuickDrop, ISoldIt, OrbitDrop.Com, AuctionDrop, Bidadoo.
Non tutte sono però in pareggio, molto dipende dall’insegnamento del vecchio Hilton, «Location! Location! Location!». Questi negozi fanno infatti affari prevalentemente sulla base della loro rendita di posizione e dell’ottimizzazione dei costi di spedizione.
In linea con questa strategia, AuctionDrop ha creato una partnership con Ups, per l’imballaggio e la spedizione dei beni. In questo modo AuctionDrop si è garantita la disponibilità di 3.700 punti vendita in un colpo solo e la rapidissima affermazione del marchio. Unico vincolo perché l’accordo funzioni: i beni pesino meno di 12 chili e valgano più di 75 dollari.
ISoldIt ha invece origini filantropiche. Il business con sede in California nasce da un’idea del 2003 di Elise Wetze, quando pensò di raccogliere fondi per una scuola mettendo all’asta su Ebay gli articoli ricevuti in donazione. Una sorta di pesca di beneficenza del nuovo millennio. Oggi ISoldIt con 600 punti vendita negli Usa sostiene di essere il più grande venditore statunitense di Ebay. L’offensiva europea di ISoldIt è invece appena partita e in novembre è stato aperto il primo negozio a Dublino. Le prospettive in Irlanda sono di 40 nuovi punti vendita entro il 2010. Liam Bodenham managing director di ISoldIt. ha dichiarato che il costo di apertura di un negozio in franchise in Irlanda si aggira tra i 90 e i 130mila euro a seconda dei costi di affitto legati a posizione e dimensioni e dal costo del lavoro.
Un business non facilissimo. Se i costi annui di gestione si aggirano sui 100mila euro tra affitti e personale e spese varie, e le commissioni sono intorno a 40%, significa che i volumi intermediati devono essere di almeno 250mila, per andare almeno in pareggio. Se si vendono case o Ferrari ce la si fa alla grande, ma per i più piccoli la situazione potrebbe non essere facilissima.
Non manca, infine, la concorrenza di chi ha reti capillari e può semplicemente ampliare lo spettro di servizi offerti.

PostNet, che ha già 500 agenzie negli Usa, per servizi di fotocopie e spedizione, ha appena attivato il servizio di vendita online e ne prevede l’operatività in almeno 100 punti entro fine anno.

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