Politica

Nuovo carrozzone targato Unione: 8 milioni per il Garante del detenuto

Un progetto di legge istituisce una commissione sui diritti umani che avrà fino a 100 dipendenti. Il Polo: inutile spreco

Milano - Otto milioni all’anno per il Garante del detenuto. A tanto ammonterà l’ennesimo carrozzone statale se il piano della maggioranza riuscirà a passare in Parlamento. E pensare che, a un mese appena dal suo insediamento, Romano Prodi mostrava ai residenti del Palazzo lo spettro della mannaia: «Il catastrofismo è alieno dalla mia natura di emiliano - enunciò - ma gli sprechi individuati dai miei ministri vanno al di là di ogni immaginazione: strutture duplicate, inutili servizi forniti da società esterne, staff debordanti eccetera». L’Emiliano, indossati i panni del rivoluzionario Zapata, dettò ordini irrevocabili: «Dovremo ridurre le spese di almeno il 10%».
E un bell’esempio, si fa per dire, arriva dal progetto di legge licenziato mercoledì dalla commissione Affari costituzionali della Camera che istituisce la Commissione nazionale per la tutela dei Diritti Umani la cui punta di diamante sarà il Garante dei detenuti. Nulla da dire, per carità, sotto il profilo etico e speculativo. Di diritti umani discettavano già Aristotele e i filosofi stoici e vi dedicava un passo perfino il Codice di Hammurabi, e da lì fino alla Dichiarazione Universale Onu e alla Corte di Strasburgo. Il fatto è che la salvaguardia dei sacri principi, così come è riformulata nell’organismo studiato dalla commissione presieduta da Luciano Violante, avrà le sembianze di una struttura abbastanza complessa, composta da otto membri nominati dal Parlamento in carica per quattro anni e un organico fisso fino a cento dipendenti. E i dipendenti si pagano. Il comma 3 dell’articolo 8 quantifica: 3.300.000 euro annui. Per il presidente e gli altri componenti, invece, sono previste nero su bianco indennità «non superiori» a 2.340.000 euro.
Dulcis in fundo, caso anomalo nella storia legislativa, il testo prevede già la possibilità per la commissione di avvalersi «dell’opera di esperti remunerati in base alle vigenti tariffe professionali» con un tetto di spesa fissato per legge a 250mila euro l’anno. Le famose consulenze appunto.
«Una struttura elefantiaca che non risolverà problemi ma anzi ne creerà altri» tuona il forzista Enrico Costa, membro della Commissione Giustizia di Montecitorio. Sui problemi da risolvere il testo per la verità è un po’ generico e anche contraddittorio.
Vediamo. La commissione avrà il compito di monitorare sul rispetto dei diritti umani in Italia, promuovere la cultura dei diritti umani e suggerire al governo la posizione da avere nei negoziati internazionali. Ai commissari sarà riconosciuto anche un potere di accertamento, controllo e denuncia per quanto riguarda le violazioni o le limitazioni dei diritti umani, con la possibilità di sanzioni pecuniarie a carico di chi si rifiuterà di collaborare. Il Garante dei detenuti, invece, dovrebbe vigilare sull'esecuzione della custodia e sulle condizioni di vita nelle carceri e potrà intervenire in seguito ai reclami dei carcerati. E ancora, avrà il potere di ispezionare (senza preavviso e autorizzazione) carceri, manicomi criminali, Cpt, commissariati, caserme dei Carabinieri e della Guardia di finanza.
«Tutti compiti vaghi, scarsamente incisivi, ma soprattutto sproporzionati rispetto alla faraonica struttura che si vuole creare» sottolinea Costa. Ma non solo. Al di là dei principi teorici, già insiti nella Costituzione del ’48, sono diversi i punti che destano perplessità. Anzitutto la commissione andrebbe di fatto a sovrapporsi ad organismi già esistenti a livello regionale, mentre a livello centrale il ministero degli Esteri istituì nel 2000 una «Direzione generale Affari politici multilaterali e Diritti Umani» a cui è collegato un Comitato Interministeriale per i Diritti dell’Uomo che, per statuto, «assicura la necessaria azione governativa in materia di adeguamento dell’Italia agli obblighi previsti dagli accordi internazionali».
Quanto al Garante per i detenuti, le sue competenze sembrano ampiamente sconfinare con quelle del Magistrato di Sorveglianza, istituzione che tra i suoi compiti ha appunto «il controllo sull’attuazione del trattamento rieducativo con possibilità di segnalare al ministro della Giustizia le esigenze dei vari servizi e le eventuali carenze riscontrate».

Altro che tagli, al catastrofismo non c’è mai fine.

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