Oltre a proporre bisogna fare qualcosa

Ecco la dura realtà: oltre a proporre bisogna fare qualcosa

Caro Oscar,

la mia risposta alla tua let­tera non può essere sfer­zante perché ne condivido i con­tenuti e anche le conclusioni. I 18 anni di Silvio Berlusconi sono stati deludenti nei risultati per­ché i programmi del centro­destra, in particolare di Forza Italia (poi del Pdl), non sono stati realizzati nella par­te più importante: la rivoluzione libe­rale, che è rimasta sulla carta per vari motivi, pochi dei qua­li dipendenti dal Cava­liere. Il cui errore principale è stato quello di averla affidata a un socialista, bravo e intelligente per non dire geniale, ma pur sempre socialista: Giulio Tre­monti. Come non si può affidare la laicizzazione dello Stato ai pre­ti, così non si può affidare la libe­ralizzazione dello Stato medesi­mo ai socialisti. Lapalissiano.

Comunque a Berlusconi riconosco un merito grande: aver impedito, nel 1994, la vittoria dei postcomunisti gui­dati da Achille Occhetto, improvvisan­do la fondazione di un partito (definito «di plastica») al quale gli orfani del pen­tapartito si aggrapparono come a una ciambella di salvataggio.

Non ci fosse stato Silvio a inventarsi in tre mesi la coalizione comprendente Msi e Lega, i voti anticomunisti dove sa­rebbero andati a finire? La questione, quasi vent’anni dopo, oggi in qualche modo si ripropone. I suffragi del centro­destra ci sono ancora, ovvio, ma non c’è al momento un centrodestra in grado di raccoglierli sotto lo stesso tetto.

La fiducia dei cittadini nei partiti è al lumicino. Il Pdl è ammaccato, la Lega fa­tica a risollevarsi, Alleanza nazionale si è sfaldata, e sappiamo come. Berlusco­ni è consapevole di tutto ciò. Talvolta è persuaso di poter risa­lire la china, ma davan­ti ai sondaggi il suo pro­verbiale ottimismo va­cilla. Egli spesso è ten­tato di abbandonare il ring. Poi ci ripensa, gli secca mollare e si ri­mette a lottare a testa bassa. Superfluo ricor­dare nei dettagli le tra­versie giudiziarie che lo hanno fiaccato. Sta di fatto che il suo carisma personale, ancora forte, non è bastevole a sopperi­re alle carenze strutturali e organizzati­ve del Pdl. Non so se sarà ancora lui il candidato premier, ma so che il «merca­to politico» non gli è favorevole quanto nel 1994. Sono mutati gli umori. La gen­te è disillusa. L’inefficienza dei governi (tutti i governi) pesa negativamente, nel giudizio popolare, sia sul Cavaliere sia sui rimasugli dello schieramento co­siddetto moderato.

La diaspora dei consensi è un fenome­no che colpisce anche la sinistra, la qua­le però si giova del fatto di non aver am­ministrato il Paese in questa legislatu­ra. E allora? È evidente la necessità di creare una nuova formazione «vergi­ne», credibile, liberale e capace di attira­re i suffragi di tanti italiani potenzial­mente astensionisti, cioè senza casa, avendo essi abbandonato per dispera­zione quella progettata ad Arcore e crol­lata a Roma, ed essendo in cerca di fissa dimora, che non può essere la baracca di Pier Luigi Bersani piena zeppa di anti­caglie rosse, per esempio la Cgil.

Serve non soltanto un semplice racco­glitore di voti dispersi, ma anche una pattuglia di dirigenti all’altezza di fare ciò che predicano. Mario Monti sembra­va armato di buona volontà e attrezzato culturalmente per assumere il ruolo di curatore fallimentare delle vecchie ge­stioni. Invece ha peggiorato le cose: re­cord mondiale delle tasse, debito pub­blico impazzito, disoccupazione senza precedenti, aziende con l’acqua alla go­la, consumi ridotti. Uno sfacelo. Un ese­cutivo pessimo. Eppure, stando ai soliti sondaggi, il 48 per cento degli elettori lo preferisce a qualsiasi altro governo poli­tico.

Di questo è indispensabile tenere con­to se si ipotizza di dare vita a una nuova forza. Costringere a cambiare opinione chi, tra i tecnici e i politici, dichiara di scegliere i professori, non sarà facile.

Ecco di cosa mi preoccupo. Dello sco­ramento che si è impadronito dei cittadi­ni. Sono edotto: l’antipolitica è figlia del­la cattiva politica. Quindi bonificando la seconda si azzererebbe la prima. Ma il tempo a disposizione è poco per modi­ficare la mentalità corrente che rifiuta i signori della cosiddetta casta. Mi lancio in una profezia. Se non succede un mira­colo, nel 2013 assisteremo al seguente spettacolo. Beppe Grillo e Antonio Di Pietro si papperanno il 20 e rotti per cen­to della torta elettorale. Il centrosini­stra (Pd più Sel) avrà poco più del 30. Il Pdl arriverà al 22, se gli va di lusso. L’Udc oscillerà tra il 7 e l’8. Il resto alla Lega rinsavita di Roberto Maroni, più spiccioli vari e schede bianche o nulle.

Va da sé che formare una maggioran­za tradizionale sarà un’impresa ardua. Per cui la grossa coalizione tipo quella attuale sarà inevitabile. Pur di non tor­nare a casa, i partiti si adatteranno: fin­geranno di andare d’accordo. Per un po’. Poi il sistema salterà per aria. Un si­stema marcio e inabile a esercitare i po­teri, legato a una Costituzione rigida e superata. A meno che Matteo Renzi non faccia zompare subito il banco.

Me lo au­guro.

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