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Ora comunista è un insulto per gli ex comunisti

L'Unità difende il lìder Massimo beccato in vacanza a Saint Moritz tentando di rimuovere il passato. A costo di rinnegare le radici del Pci. Dalla barca alle scarpe di lusso: l'ex leader Ds ha sempre fatto il borghese snob

Ora comunista è un insulto per gli ex comunisti

Ma che fantastica neve stamattina, compagno Kulisciov, qui nel soviet di Saint Moritz, noto rifugio operaistico ancora più accogliente degli Urali. La classe operaia non è andata in paradiso ma la classe politica cresciuta a Togliatti e vini sfusi nelle sezioni Pci, per lo meno, è andata in montagna. A questo punto, tra una serpentina su La Punt e un piatto di cervo e polenta in baita, dargli dei comunisti è puro anacronismo. Peggio, un’offesa terribile. Comunisti a noi?, pare chiedersi indignata L’Unità fondata da Gramsci ma rifondata da Brunello Cucinelli, re del cachemire. «D’Alema in vacanza, il premier insulta» riporta l’ex foglio comunista rivisto dalla sciantosa Concita De Gregorio, area Pd corrente Msc, «Mai stati comunisti». L’insulto è appunto l’aver dato del «comunista» a Massimo D’Alema, un epiteto intollerabile per uno che a nove anni era iscritto all’Associazione pionieri (le falangi giovanili del Pci), a quattordici alla Fgci, di cui diventa poi segretario, primo scalino di una carriera luminosa tutta interna all’apparato del Pci, poi Pds, poi Ds, poi Pd. Nella grande rimozione freudiana che coinvolge una generazione, non si può mai nominare il rimosso, il passato cancellato dai nuovi traguardi borghesi raggiunti dagli ex compagni, la barca a vela, le scarpe fatte a mano, l’attico in zona chic, gli amici banchieri, le bottiglie di Moët & Chandon che abbondano - vedi foto - sul veliero del «mezzo Stalin» (uno dei tanti soprannomi guadagnati dalla portentosa antipatia di D’Alema).

Sotto la trapunta in pura piuma d’oca e dietro la passeggiata agnelliana tra gli shop vipposi dell’Engadina, c’è sempre (o no?) il D’Alema che anni fa confessava alla Stampa di essere «uno dei pochi nel mio partito che ha le sue personali radici nella vicenda comunista. Per me il rapporto con l’Unione sovietica - spiegava Spezzaferro, altro soprannome - è stato qualcosa di importante, sono andato in Urss e nei Paesi sovietici più di venti volte», perché «c’è un’identità comunista che sopravvive al crollo del movimento comunista». Conclusione di allora: «Non ci penso proprio a togliere il ritratto di Togliatti da dietro la scrivania». Che sia stato sostituito da un ritratto di Reto Mathis, chef pluristellato de La Marmite, il rifugio dei gourmet di passaggio a Saint Moritz?

Comunque sia, mai dare del comunista ad un ex comunista, L’Unità reagisce male. È capace di additare quei brutti comunisti di Vladimir Putin, Aleksandr Lukasenko e Nazarbayev, «i “veri” comunisti che piacciono a Berlusconi», sempre utilizzando l’aggettivo come infamante dispregiativo. Anche se, peraltro, Vladimir Vladimirovic Putin era membro del Pcus e giovane agente del Kgb proprio negli anni in cui il giovane D’Alema visitava gonfio di venerazione i campeggi modello della Siberia, più o meno quando il temibile comunistaccio di Lukašenko era direttore della sovhoz, la grande «fattoria» dello Stato sovietico, ammirato da Togliatti e altri padri intellettuali dello «svizzero» D’Alema.

Trovare bizzarro che un uomo cresciuto nel culto del collettivismo sovietico calchi le stese piste da sci che Gianni Agnelli raggiungeva in elicottero (mentre poi si abbraccia la Fiom contro il padrone Marchionne), o stupirsi alquanto dei gusti snob dell’ex premier già comunista quanto a imbarcazioni e vacanze in alto mare lontano dal popolino in stuoia e ombrellone («Oggi non riesco nemmeno a concepire una vacanza che non sia in barca», disse una volta), non è riflesso da vecchi rincitrulliti («Mia nonna diceva “fa il comunista e va a sciare”», chiosa invece con la puzza sotto il naso la Concita) ma la domanda centrale sulla crisi che sta affondando gli eredi del Pci, non a caso seriamente minacciati dal più berlusconiano di loro, Nichi Vendola. «Ma se vanno a Saint Moritz anche loro, che fine hanno fatto i comunisti?» si chiede Alfonso Signorini, interpretando così nel cazzeggio televisivo un vero dramma storico. È del resto dalle pagine pettegole di Chi, come già aveva intuito Gad Lerner, che si cataloga nel modo più scientifico la politica e che la si decifra tramite le immagini, come pure nelle abbuffate ultracafonal immortalate da Dagospia.

Il dramma posto dal «Vespa del nuovo decennio» (come la direttora dell’Unità chiama Signorini, per sfotterlo, senza accorgersi di dire una verità) si riassume plasticamente nell’immagine sconcertante di D’Alema in Engadina, l’ex pupillo di Natta che lì sembra un semplice cumenda in vacanza, con la Jaguar al calduccio in garage e la camera riconfermata di anno in anno all’Hotel della Posta. Problema: ma se dandogli del «comunista» L’Unità si offende, se gli si dà del borghese snob Concita che fa?

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