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Peggio che in Libia: a questa guerra manca uno stratega

È iniziata la guerra, ma nessuno se n'è accorto. Non c'è da sorprendersi. La guerra all'Isis o allo Stato Islamico è, per ora, solo una messa in scena. Nella rappresentazione si è calata ieri anche la Francia di Hollande mandando i suoi Mirage Rafale a bombardare un deposito logistico dei miliziani jihadisti. Ma questo non è un passo avanti. Anzi è un passo indietro. Un balzo a ritroso che ricorda il caotico avvio della guerra al Colonnello Gheddafi. Anche allora Parigi e Washington si mossero in ordine sparso, senza neppure organizzare un comando unico. Se non ricordate com'è finita date un'occhiata alla Libia di oggi, trasformata in un Paese senza legge alla mercé delle milizie jihadiste e dei trafficanti di uomini. In Iraq e in Siria la prosecuzione di un conflitto decerebrato, privo cioè di un comandante riconosciuto e di una politica e di una strategia condivisa dai vari membri della coalizione, rischia di provocare danni molto peggiori. Incominciamo dai bombardamenti. Nell'immaginario di chi li guarda dall'alto le bombe della coalizione colpiscono i centri dei terroristi. Nella realtà di chi sta sotto quelle bombe colpiscono villaggi e città abitate dai sunniti iracheni, ovvero dalle tribù considerate dall'Isis il proprio patrimonio umano. O, per dirla con Mao, l'acqua in cui Abu Baqr Al Baghdadi e i suoi nuotano come pesci. Nel 2007 quando avviò l'offensiva destinata a concludersi con la sconfitta di Al Qaida Iraq (diretto predecessore dell'Isis) il generale americano David Petraeus intraprese, prima di tutto, una politica di reintegrazione nel tessuto iracheno delle tribù sunnite . Oggi di quelle politiche non esiste neppure l'ombra. Quelle bombe rischiano quindi di rivelarsi inutili. O addirittura dannose se spingeranno altri sunniti dalla parte dell'Isis. Consapevole della svista Washington fa intendere, proprio in queste ore, di aver avviato i primi contatti con i capi sunniti moderati. Ricordarsene dopo aver già iniziato i bombardamenti e dopo averli abbandonati al proprio destino per oltre quattro anni non sembra però una grande idea. Il vero buco nero è però la Siria. La storiella dei 50 milioni di dollari, stanziati ieri dal Senato e destinati ad addestrare ed armare 5400 ribelli moderati in grado di contrapporsi sia all'Isis, sia al regime di Bashar Assad sembra quella delle lettere a Babbo Natale. I bimbi le scrivono, ma lui non esiste. Anche quei fondi sono, per ora, destinati ad una entità fiabesca. Sul fronte ribelle, oltre all'Isis e alla formazione qaidista di Jabat Al Nusra, suo grande nemico e avversario, esiste solo un alleanza di formazioni wahabite finanziate e armate dall'Arabia Saudita. Ma definirle moderate visto che nel nome della jihad commettono le stesse atrocità perpetrate su scala più vasta da Isis e Al Nusra, è una pericolosa ipocrisia. Dunque su quel fronte siriano dove il Califfato detiene e decapita gli ostaggi, si finanzia con il petrolio dei pozzi conquistati e controlla una sorta di stato parallelo, Obama non ha per ora alleati. E non ha neppure alcun concreto accordo con la Russia, con l'Iran e con le milizie di Hezbollah, i tre grandi compagni di Bashar Assad nella guerra all'Isis. Dunque se pensate che vi sia sfuggito qualcosa non preoccupatevi. In verità non è iniziato un bel niente. Quello a cui assistete è solo l'ennesimo brutto film.

E rischia di regalarci un altro pessimo finale.

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