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Pena di morte, Usa: sì alle iniezioni letali

La Corte Suprema respinge il ricorso di due condannati dello stato del Kentucky: "Metodo costituzionale". Già annunciata la ripresa delle esecuzioni

Pena di morte, Usa: 
sì alle iniezioni letali

Con l’iniezione letale alcuni condannati hanno impiegato trenta minuti per esalare l’ultimo respiro. E i contrari alla pena di morte sostengono che la fine arriva fra dolori lancinanti. Il condannato non riesce neppure ad urlare le sue sofferenze, perché uno dei farmaci del cocktail mortale lo paralizza. Per questo motivo due detenuti nel braccio della morte dello Stato americano del Kentucky erano riusciti a bloccare la loro esecuzione facendo ricorso alla Corte suprema. La moratoria, che aveva fermato il boia, durava da quasi otto mesi in attesa del responso giuridico definitivo. Ieri i magistrati dell’alta Corte hanno respinto il ricorso con sette voti contro due. Ironia della sorte la decisione è stata anticipata di diverse settimane e resa pubblica proprio mentre Benedetto XVI era in visita alla Casa Bianca. A pochi isolati dal palazzo che ospita il tribunale supremo Usa, che non ha fatto certo un buon regalo al Papa per il suo ottantunesimo compleanno. Un paio di Stati americani hanno già annunciato la ripresa delle esecuzioni.

I due condannati a morte del Kentucky avevano iniziato la procedura giuridica nel 2004, contro l’utilizzo inumano dell’iniezione letale. Secondo i loro avvocati la Costituzione americana vieta pene crudeli ed inusuali, che infliggano inutilmente sofferenza e dolore. L'iniezione letale fu adottata da molti Stati due anni dopo la reintroduzione della pena di morte, nel 1978. All’inizio venne presentata come un’alternativa ai metodi più tradizionali, ma crudeli, come la sedia elettrica, la camera a gas, l'impiccagione e la fucilazione. Negli ultimi anni anche questa tecnica ha scatenato polemiche, in seguito a casi di lente agonie accaduti in Florida e California. L’iniezione letale, che non utilizza una siringa, ma delle flebo endovenose, è composta da tre farmaci. Il cocktail mortale prima seda il condannato, poi lo paralizza e infine lo uccide. Se l’analgesico funziona poco o male, i dolori provocati dal farmaco letale sarebbero lancinanti. Il poveretto non è nemmeno in grado di lamentarsi o dimenarsi, perché le membra sono paralizzate. «Abbiamo concordato che i ricorrenti non hanno adempiuto all'onere di provare che il rischio di un dolore causato dalla cattiva applicazione del protocollo sulle iniezioni letali, e la mancata adozione di alternative non sperimentate, costituisca una punizione crudele e inusuale», si legge nella motivazione della sentenza firmata dal presidente della Corte suprema, John Roberts.

Contro l’asettica sentenza si sono schierati solo due giudici, Ruth Bader Ginsburg e David Souter, che hanno votato in favore del ricorso. La Corte suprema, composta da nove magistrati, è dominata da cattolici, ma non sembra sia servito a molto. Lo scorso anno le esecuzioni negli Usa erano scese a quota 42, il minimo dell’ultimo decennio. In seguito al ricorso contro l’iniezione letale erano state sospese da settembre, ma ora possono ricominciare. La moratoria è stata travolta, proprio durante la visita del Pontefice, dall’annuncio della decisione della Corte suprema. Il ricorso riguardava il Kentucky, ma poche ore dopo il governatore della Virginia, Timothy Kaine, ha cancellato la moratoria sulle esecuzioni capitali nel suo Stato.

Una «sentenza inaccettabile» l’ha definita Riccardo Noury, portavoce della sezione italiana di Amnesty International. L’organizzazione non governativa si batte da sempre contro la pena di morte. Una decisione che «rischia, dopo sette mesi di sospensione, di rimettere in moto la macchina della morte in tempi brevi». Secondo il responsabile di Amnesty «è come affermare che c’è un modo umano e indolore di mettere a morte una persona. Che l’iniezione letale sia una forma d’esecuzione crudele è dimostrato da numerosi casi, in cui questo metodo ha provocato sofferenze indicibili».
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