Economia

Pentagono protetto dalle «colonnine» di Mister fotocellula

Proteggono il Pentagono con quelle colonnine che si alzano a comando da terra, i cosiddetti dissuasori mobili a prova di autoblindo. Capaci quindi di reggere un urto da 4mila chili. E poi regolano con i loro sistemi di controllo l'accesso ai parcheggi della Città Proibita di Pechino e del Louvre, impediscono nel porto di Napoli di arrivare con le auto fin sotto le barche, garantiscono il parcheggio nel posto macchina di proprietà con dispositivi regolati dal radiocomando, realizzano porte scorrevoli automatiche per palestre e negozi. Con il loro software anche i dipendenti di un ospedale o di un’azienda non possono girare ufficio per ufficio come se si trovassero a casa loro ma hanno garantito solo l'accesso in determinate aree. Insomma, telecamere, bande magnetiche, fotocellule sono messe al servizio della sicurezza.
Leader mondiali. «Siamo i leader mondiali», commenta Paolo Menuzzo. E poi, per non essere frainteso, aggiunge: «I leader mondiali nel campo degli automatismi per serramenti, dissuasori a scomparsa e prodotti per l'arredo urbano». Come dire: siamo competitivi in più di un prodotto.
Paolo Menuzzo è presidente del gruppo Came di Treviso. Meglio, di Dosson di Casier, a 5 chilometri da Treviso. Classe 1947, originario di Preganziol, bisnonno segretario comunale dell'impero austro-ungarico e nonno cocchiere dei conti Marcello, Menuzzo è figlio di Ferdinando che ha fatto il carpentiere in una falegnameria ed ha avuto i piedi congelati con la Divisione Julia. Prende al Pacinotti di Mestre il diploma di perito elettrotecnico, insegna anche per un po' di tempo nella stessa scuola misure elettriche dopo aver fatto il bersagliere a Sacile, va quindi a lavorare con uno zio artigiano che a Mogliano Veneto produce serramenti d'alluminio. È un tipo meticoloso, quadrato, diciamo tutto di un pezzo. In un certo senso l'esatto contrario di Angelo, il fratello più anziano di un anno, il quale ama inventare, ama viaggiare, ama la natura. Anche lui è perito per quanto poi prenderà una laurea in scienze naturali, gira mezzo mondo, dalla Giamaica al Kenia, aiuta i salesiani ad aprire pozzi d'acqua in Africa, si occupa di ecologia, porta persino le cicogne in un parco nei dintorni di Treviso. Ma è dall'unione di Paolo e Angelo che nel 1972 nasce a Mogliano, quasi attaccata all'officina dello zio, la Came. Che in realtà ha un altro nome: Cm, Costruzioni meccaniche. E solo due anni più tardi, allorché nel '74 cambia sede e s'installa a Preganziol con una decina di dipendenti, diventa Came: Costruzioni automatismi meccanico-elettronici. Obiettivo: automatizzare i cancelli delle villette.
Oggi sembra un argomento banale ma in quegli anni è invece particolarmente innovativo. Avere i cancelli automatici, ricorda Paolo Menuzzo, «era uno status symbol, nessuno discuteva sul prezzo. E quando avveniva l'apertura automatica di un cancello, spesso si formava un capannello di gente curiosa». In quel periodo c'è un’unica azienda leader nel settore, la Faac di Bologna, che utilizza sistemi nuovi basati sull'oleodinamica ma proprio per questo costosi. La Came è invece un'aziendina elettromeccanica, quindi da un punto di vista tecnico è un tantino indietro. Ma in compenso, ricorda ancora Menuzzo, «lavoravamo come muli, sabato e domenica compresi. Con Paolo che segue l'amministrazione e il commerciale mentre Angelo, «tecnico puro» dice, si occupa della produzione e degli acquisti. Viene ipotecata la casa di famiglia, coi soldi delle banche sono comprati torni e fresatrici ma rigorosamente di seconda mano, comincia ad essere introdotta l'elettronica. Sono insomma anni duri, anni di sacrifici e di debiti. Ma l'azienda resiste grazie all'abilità di Angelo di progettare e all'abilità di Paolo di saper vendere. E nel 1978 viene costruito a Dosson un capannone che sta ad indicare il passaggio della Came da azienda artigianale ad impresa industriale. Comincia la produzione in serie.
Una forte crescita. Le vendite si allargano dal Veneto alla Lombardia, lo sviluppo è anche abbastanza veloce, nel 1983 entra nella Came una società lombarda che realizza porte automatiche per gli aeroporti, è fortemente orientata nell'elettronica ed è molto attiva nella finanza. Grazie ai nuovi soci, anche la Came applica alla grande l'elettronica in azienda. Ma alla fine i risultati dell'intesa sono inferiori alle aspettative. Almeno secondo Paolo Menuzzo. Anche i due fratelli non sono più in sintonia: Angelo è sempre più orientato alla ricerca, grazie alle sue idee la Came brevetta il motore a battente elettromeccanico e un marchingegno elettrico che regola la forza motore; Paolo è invece convinto che bisogna ricorrere meno alla finanza e investire in tutto, anche nelle vendite e nel personale. E nel 1990 l'alleanza termina: i soci lombardi se ne vanno portando con loro Angelo e lasciando tutta la Came a Paolo. Il quale, da buon ex bersagliere, non si lascia spaventare: paga una forte liquidazione per potere essere l'unico proprietario dell’azienda che continua a produrre motori per cancelli, serrande, porte automatiche, sbarre per le autostrade, e comincia ad aprire filiali commerciali in Europa, filiali autonome, in quanto intuisce che dall'estero arriverà il maggiore impulso per lo sviluppo dell’impresa. Nel 1994 apre così la prima filiale a Parigi, quindi a Stoccarda, Berlino e via via nelle altre zone fino ad arrivare alle dodici di oggi, da Miami a Dubai. Cogliendo, dice, «il meglio da ogni Paese».
È una strategia interessante quella portata avanti da Menuzzo in quanto riesce a cogliere, grazie alle sue filiali autonome, le opportunità offerte da ogni singolo Paese. Dice: «I francesi, ad esempio, sono bravissimi a vendere, le loro ambasciate sono tante camere di commercio all'estero ricche di informazioni. Così, quando dobbiamo sapere qualcosa, operiamo come francesi. Ad essere tedeschi invece si hanno grandi vantaggi sul fronte dei brevetti: più facilità ad ottenerli e con minori costi. E come inglesi ci siamo trovati avanti agli altri nell’utilizzo di internet mentre come americani abbiamo enormi facilità di tipo burocratico. Insomma, in questo modo abbiamo evitato il rischio di ritrovarci con un'impresa già in Europa ma con un Sistema Paese che non ne è ancora all'altezza». Questa strategia, che ha portato nel 2004 all'acquisizione della francese Urbaco, nei pressi di Avignone, ha determinato altre due scelte: creare presso le filiali anche dei magazzini. Solo a Dubai è stato realizzato di recente uno stabilimento su una superficie di 3mila metri quadrati, costato un milione di euro e in grado di ridurre da 35 a 8 giorni il tempo di consegna dei prodotti nei Paesi mediorientali. La seconda scelta: avere evitato la delocalizzazione. Come? Ricorrendo alla grande all'outsourcing. Il gruppo Came ha 250 dipendenti sparsi nei tre stabilimenti di Dosson, Avignone e Dubai, un fatturato di 145 milioni di euro di cui il 70% grazie all'export, un bel po' di brevetti che vanno dallo sblocco radio alle fotocellule cordless, un ufficio ricerche di 16 persone che realizza prototipi e assorbe il 2,5% del fatturato. Ebbene, il 90% della produzione è realizzato all’esterno da artigiani esclusivi. Cosa che tiene fuori dall’azienda il sindacato. Ma, chiarisce Menuzzo, «sono i dipendenti a non volerlo. E se il grosso della produzione è esterno, la ricerca è interna».
Le auto d’epoca. Sposato con Giuseppina Babolin, una ragioniera padovana che ha curato a lungo l'amministrazione, hobby per le auto d'epoca tra cui una Stella Alpina e due Jaguar, Menuzzo sfoggia un bel paio di baffi e ha due figli, entrambi single: Andrea, il maggiore, 1975, esperienze di studio in Germania e Gran Bretagna, è dal 2005 l'amministratore delegato. La seconda, Elisa, 1978, laurea in psicologia del lavoro, è invece responsabile delle risorse umane e della comunicazione. «Sto cominciando a fare il passo indietro generazionale», commenta Paolo Menuzzo, tutto il giorno in azienda.

Il gruppo Came, infine, ha un bel calibro da novanta da calare sul piatto: oltre 50 milioni di euro per operazioni di shopping nei prossimi tre anni.
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