Roma

Pertini, la denuncia dei medici: «Noi del Dea, ostaggi del caos»

Nel Dea del Pertini regna il caos. La carenza di personale medico, ausiliario e infermieristico sommata al taglio dei posti letto nei reparti dell’ospedale, hanno generato una situazione insostenibile. E a farne le spese non sono solo i cittadini, ma lo spesso personale sanitario del Dipartimento di emergenza e accettazione.
«Il dramma è iniziato con la scelta di diminuire i letti di degenza destinati ai malati con pluripatologie - spiega un medico del Dea -. La risposta territoriale da parte dei colleghi della medicina di base, infatti, è assolutamente insufficiente e inadeguata, tanto che analizzando il numero degli accessi annuali in ospedale sarebbe equo detrarre dal loro stipendio le spese necessarie a coprire le prestazioni dei pazienti in regime pronto soccorso-Dea».
Il risultato più evidente è che spesso i cittadini stazionano per almeno tre giorni nel Dea del Pertini, dove viene definito il loro quadro diagnostico, in attesa che qualche struttura della capitale confermi la disponibilità di un posto letto. «Questo significa che noi dobbiamo controllarne la stabilità emodinamica del malato, mantenere le terapie necessarie e seguire tutti gli iter diagnostici in ambienti predisposti - denunciano gli specialisti del Dea - in una situazione di caos irrefrenabile e sovraffollamento, con tre o quattro pazienti che entrano in codice giallo, ai quali spesso si sommano due o tre codici rossi che devono avere la precedenza. Il tutto con ausiliari carenti, che corrono da un reparto all’altro per trasportare i pazienti in barella. Questi colleghi, poi, come se non bastasse, per disposizione amministrativa non possono essere più reperibili tramite “bip”».
E piove sul bagnato. Nella struttura sanitaria, infatti, non c’è più il posto fisso di polizia. Questo crea numerosi problemi di ordine pubblico, soprattutto quando i camici bianchi si trovano di fronte a pazienti tossicodipendenti, poco inclini alle attese, che incuranti della carenza di personale pretenderebbero di essere visitati prima degli altri. «Siamo costretti a prestare il fianco alle denunce dei cittadini che si appellano al generico concetto di malasanità - continua un medico -. Eppure sputiamo sangue durante i turni, per l’indifferenza delle amministrazioni che pur consapevoli di questa situazione sono interessate solo a numeri e bilanci, al solo scopo di apparire “virtuose”. Il risultato è un elevato innalzamento del risk management e del rischio clinico per i pazienti. Inoltre non ci vengono pagate le ore di straordinario, come se il nostro lavoro fosse squisitamente amministrativo e, terminato il servizio, potessimo alzare la penna e tornare a casa».
Così da una parte ci sono i medici costretti al super-lavoro e dall’altra gli utenti, che minacciano di rivolgersi a polizia e carabinieri quando non si trova un posto letto. «Sarebbe nostro interesse decongestionare il Dea se fosse possibile - prosegue un sanitario - anche perché spesso assistiamo a episodi di overtriage, ovvero supervalutazione dei casi da parte degli infermieri, nell’ottica che è utile far entrare subito i malati nelle sale piuttosto che rischiare una denuncia per averli lasciati in attesa».
A completare il quadro la diffidenza da parte delle strutture convenzionate con la Rm/B ad accettare il trasferimento dei pazienti.

«Molte non hanno laboratori per emogasanalisi, per dosaggio della troponina di notte, per elettroliti o sono senza cardiologo di guardia - denunciano gli specialisti -. Allora ci chiediamo: secondo quali criteri sono state accreditate?»

Commenti