Dieci milioni di italiani a reddito zero non sono altro che lennesima conferma della totale inaffidabilità della base imponibile sulla quale vengono pagate le tasse, con pochi che pagano molto per molti che non pagano nulla.
È una sfida che il nuovo governo deve per forza vincere: combattere levasione ed arrivare ad una lista contribuenti più «vera» senza cadere nelleccesso oppressivo e iniquo che ha viziato il governo Prodi, reo di aver alzato le tasse anche a chi già le pagava. Come fare quindi a rendere meno astratto linsieme delle dichiarazioni dei redditi? La ricetta infallibile non cè: ci sono se mai dei provvedimenti che possono ridurre la differenza fra il cerchio che si desidera e lattuale quadrato.
Spesso si è ventilata la soluzione del «contrasto di interessi», dove la possibilità di dedurre le fatture invoglierebbe a chiederle, facendo emergere il nero. È sicuramente una strada da seguire, ma solo in parallelo con una nuova impostazione delle sanzioni, perché se uno dichiara zero non ha alcun interesse a dedurre alcunché e il «contrasto» non funziona. Inoltre per chi non dichiara nulla, il livello delle aliquote è una variabile totalmente irrilevante, pertanto per costoro non può valere nemmeno lattenuante dellautodifesa verso lo «stato oppressivo» e la severità deve essere massima.
Lattuale legislazione tuttavia sanziona solo il reato in sé, con differenziazioni di pena esclusivamente e blandamente legate al valore assoluto dellimposta evasa, cioè poco cambia nel castigo previsto per chi sbaglia un po' rispetto a chi trascura del tutto di pagare le tasse. La conseguenza è che appare diffuso un atteggiamento del tipo: evadere per evadere, tanto vale farlo alla grande. Di qui la proliferazione del «reddito zero». Sarebbe auspicabile invece una forte differenziazione della pena in base al principio della percentuale dellimposta evasa: a che scopo impegnare per anni un tribunale per disquisire su minime differenze tra redditi dichiarati ed accertati lasciando impunito levasore totale? Un criterio di progressività consentirebbe di comminare a cuor leggero pene assolutamente esemplari per coloro i quali evadono, ad esempio, più del 50% delle imposte dovute, senza limitarsi al valore assoluto delle stesse, riducendo man mano la severità con lavvicinarsi delle soglie che potrebbero spiegarsi con errori materiali o veniali distrazioni. Le differenze minime dovrebbero poi essere sanzionate solo con multa ragionevole, secondo il principio che un divieto di sosta non è comparabile con la guida contromano in autostrada.
Di certo poi laspetto penale, per risultare efficace come deterrente, deve essere rappresentato da una giustizia dai tempi rapidi e certi, altrimenti si ritorna alle inutili grida manzoniane. Una riflessione poi dovrebbe essere fatta in merito a tutti quei benefici che «automaticamente» vengono garantiti a chi dichiara reddito zero: aiuti, incentivi, bonus, priorità nelle graduatorie per asili. Non è un argomento semplice, ma considerare la possibilità di sostituire gli automatismi con uninversione dellonere della prova di «effettiva povertà» non dovrebbe essere un tabù.
Tutto ciò deve però essere portato avanti in parallelo con una riduzione del carico fiscale, perché tutti sappiamo che molti redditi, se dovessero pagare con la massima fedeltà ogni balzello, probabilmente cambierebbero Paese. LItalia deve risultare attraente per le ricchezze, non lopposto. Come si vede si tratta di un esercizio che richiede perfetta esecuzione su più fronti: legislativo, giudiziario, fiscale, che non deve trascurare unimpostazione federalista dellaccertamento e riscossione, facendo sì che gli enti locali siano «tangibilmente» interessati anche al contrasto allevasione e non solo alla spesa. Non è semplice ma bisogna provarci.
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