Controcultura

Il piano Bonaparte per saccheggiare la ricchissima Italia

Il piano Bonaparte per saccheggiare la ricchissima Italia

Il ministro della Guerra accennò alla sedia che era stata posizionata di fronte alla sua scrivania. «Prego, generale di brigata Bonaparte, accomodatevi».

Napoleone obbedì, e Carnot si piegò in avanti. «Vi siete ferito alla testa». Per un attimo, Napoleone pensò di raccontargli quanto era accaduto la sera prima, ma poi considerò che sarebbe potuto sembrare inappropriato, per un ufficiale del suo rango, farsi coinvolgere in una rissa da strada. Si schiarì la gola. «Ho avuto un giramento di testa, cittadino. Sono inciampato e caduto da una rampa di scale».

«Spero comunque che siate abbastanza lucido».

«Sì, signore. Naturalmente».

«Molto bene, perché il Comitato di Salute Pubblica vuole un vostro parere in merito ad alcune questioni». Carnot sorrise. «A quanto sembra, siete considerato un esperto di affari militari italiani».

Napoleone sentì la mente riempirsi di pensieri. Era vero che gli era stato chiesto di ideare alcuni piani per le campagne dell'Armata d'Italia, e lui aveva scritto alcune considerazioni sul potenziale militare di Genova, ma questo lo poteva davvero far considerare un esperto in materia? Se avesse accettato quell'affermazione con troppa sicurezza, avrebbe rischiato di passare per impudente. D'altro canto, quella poteva essere l'opportunità che cercava per migliorare le sue prospettive. Raddrizzò la schiena e annuì con modestia, mentre rispondeva. «È vero che ho un'ottima conoscenza della situazione italiana, cittadino. Tuttavia, non sono in contatto diretto con tali operazioni militari da diversi mesi, ormai».

«Dunque non siete a conoscenza degli ultimi rapporti dal fronte?».

Napoleone si strinse nelle spalle. «Leggo i giornali, cittadino».

«I giornali non sono certo rapporti militari». Carnot tirò su con il naso. «A parte che neppure loro sanno delle ultime novità. Ma ne saranno messi a parte molto presto. Qualche idiota del Comitato lo rivelerà a qualcuno dei suoi amici, e la notizia si diffonderà per tutta Parigi più velocemente di un'epidemia di gonorrea». Carnot si piegò in avanti, fissando Napoleone dritto negli occhi. «Il generale Kellermann e i suoi uomini hanno subìto un'altra sconfitta. L'Armata delle Alpi è in rotta, e non mi sorprenderebbe sapere che Kellermann è già arrivato a metà strada da qui, tanto velocemente se l'è data a gambe».

Napoleone provò una forte irritazione nel sentir parlare in modo tanto irrispettoso dell'eroe di Valmy, e d'istinto si schierò dalla parte dell'ufficiale. «Il generale deve aver avuto i suoi motivi per ritirarsi, cittadino».

«Oh, ne sono certo anch'io». Carnot agitò una mano. «Ma chiamiamo le cose con il loro nome, Bonaparte. Questa non è stata una ritirata, è stata una rotta pura e semplice. Il generale è stato sconfitto. Quello che il Comitato vuole sapere è se vale la pena di rinnovare i nostri sforzi per strappare l'Italia all'Austria, o se invece dovremmo accontentarci di difendere i nostri confini. Voi conoscete il territorio, i punti di forza e le debolezze del nemico, e sapete di cosa sono capaci i nostri uomini. Dunque, cosa consigliereste di fare?».

Napoleone richiamò alla mente tutte le conoscenze che aveva del fronte italiano, e costruì silenziosamente la sua risposta prima di parlare. Ci fu solo una breve pausa, e poi cominciò il suo discorso, elencando i vari punti sulle dita.

«Abbiamo bisogno dell'Italia. La tesoreria francese è quasi vuota. Se riusciremo a strappare all'Austria le province italiane, ne ricaveremo molta ricchezza. Potremmo perfino ottenere abbastanza denaro da ripagarci la guerra. Inoltre, gli italiani non sono contenti di sottostare al giogo austriaco. Se la Francia prometterà loro la libertà e delle riforme politiche, potremo assicurarci di ottenere il loro favore, tranne quello degli aristocratici più radicali. Potremmo anche fare buon uso dell'inimicizia tra Genova, la Lombardia, Venezia, Roma e Napoli. Mettendo questi territori gli uni contro gli altri, potremmo conquistarli uno alla volta».

«Ma prima dovremo sconfiggere gli austriaci».

«Sì, cittadino. E credo che possiamo farlo. I loro soldati sono forti. Ma stanno combattendo ormai da molto tempo in Italia. Molti sono parecchio più anziani dei nostri uomini. Tutto ciò di cui i nostri hanno bisogno è il giusto comandante. Qualcuno che sia in grado di risvegliare i loro sentimenti patriottici...». Napoleone si fermò per un attimo, permettendo a Carnot di arrivare all'inevitabile conclusione di quel discorso. Poi inspirò e continuò: «Un uomo con la reputazione del generale Kellermann è più che adatto a questo compito».

«Non sento molto entusiasmo in questa proposta». Carnot sorrise. «Per un attimo, ho creduto che vi sareste offerto volontario».

«No», protestò Napoleone, cercando di sembrare sincero. «Io non sono pronto a comandare un esercito. Sarebbe un'idea assurda».

«Lo so. Ed è per questo che sono lieto che non l'abbiate suggerita. Vi prego, continuate».

«Sì. Ebbene, lasciando da parte la questione del morale, agli austriaci manca la mobilità. Non avanzano mai senza portarsi dietro lunghe colonne di vettovaglie. Se i nostri riusciranno a vivere di quello che offre il territorio, potranno spostarsi molto più rapidamente del nemico. Potremmo tagliare le loro comunicazioni a volontà, e combattere una guerra di manovra». Le idee gli stavano venendo in mente con tale rapidità che Napoleone si costrinse a rallentare. Se voleva che le sue parole avessero un peso presso i membri del Comitato, doveva evitare di sembrare un semplice avventuriero. Doveva presentare la sua tattica in modo razionale e ponderato. A quel punto, continuò il discorso. «Questi sono i miei argomenti a favore del proseguimento dell'offensiva, cittadino. Naturalmente, bisogna considerare le opportunità e i rischi della strategia opposta, cioè quella di proteggere soltanto i nostri confini. In questo caso, servirebbe un gran numero di uomini fissi in una linea di difese statiche. Dovrebbero essere riforniti regolarmente, e questo richiederebbe una notevole spesa. Inoltre, il tipo di attività che si troverebbero a svolgere finirebbe per fiaccare la loro voglia di combattere. E poi c'è da considerare che, in questo modo, lasceremmo l'iniziativa agli austriaci. Se volessero tentare di invadere le nostre coste meridionali, potrebbero scegliere liberamente quando e dove farlo, e la Francia sarebbe costretta a contrattaccare in forze solo per difendere i confini».

Carnot sollevò una mano per fermare Napoleone. «Ho capito dove volete arrivare con la vostra analisi, Bonaparte. Il consiglio, dunque, è di continuare con l'offensiva?».

«Francamente, cittadino, non vedo alcuna alternativa accettabile. Se il generale Kellermann non attaccherà subito, la Francia sarà costretta ad affrontare una controffensiva ben più costosa, più avanti, e con obiettivi molto più limitati». Si appoggiò allo schienale della sedia. «Secondo me, dovremmo fare ogni possibile sforzo per spazzare via gli austriaci da questa guerra, se non altro sul fronte italiano».

Carnot lo fissò di rimando, il volto lievemente corrucciato, mentre valutava le parole di Napoleone. «Le vostre considerazioni sono molto interessanti, e di certo le riporterò agli altri membri del Comitato. C'è un'ultima faccenda che richiede di essere discussa, ossia chi dovrebbe comandare l'esercito, sia che resti sulla linea di difesa, sia che venga inviato al fronte. Il generale Kellermann non è più tanto giovane...». Napoleone ignorò di proposito l'invito a fare commenti in proposito, e a quel punto Carnot fu costretto a continuare. «Diciamo che la sua esperienza sarebbe al momento più utile in mansioni di tipo amministrativo. Non siete d'accordo?»

«Non è appropriato, per un ufficiale subordinato, dare simili giudizi riguardo a un suo superiore, cittadino. Io sono un semplice soldato, e sono disposto a discutere unicamente di fatti».

L'altro uomo sorrise. «È vero che siete un soldato, ma non è affatto vero che siete un semplice soldato, quanto a questo. Credo che se utilizzaste i vostri talenti in campo politico con l'astuzia con cui li utilizzate in campo militare, sareste un uomo da tenere d'occhio. Soprattutto in un periodo in cui così tanti soldati sembrano nutrire ambizioni politiche».

©2007 Simon Scarrow

©2017 Newton Compton editori

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