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Il piano non guarisce la banca Libici disponibili per il bond

In vista 700 tagli su 3.500 nell’investment banking. Preoccupazioni in Germania

Il piano non guarisce la banca Libici disponibili per il bond

da Milano

Il piano anticrisi non basta, Unicredit rimane la grande malata di Piazza Affari. Non sono servite le buone notizie arrivate dalla riunione dei ministri delle Finanze Ue e nemmeno le nuove misure della Fed per arginare un’altra giornata di vendite sul titolo. Unicredit, dopo aver bruciato il 28% in tre settimane, anche ieri ha perso un altro 4% portandosi a quota 2,79 euro.
Non è toccata la medesima sorte invece a Intesa Sanpaolo, che ieri ha guadagnato l’1,3%. Tra gli altri istituti, Banco Popolare ha perso il 2,4%, Mps il 4,6% e Pop. Milano il 13%. Su Unicredit, il mercato deve ancora digerire l’aumento di capitale e il taglio di stime annunciati dall’ad Alessandro Profumo.
Il piano anticrisi del gruppo prevede un’iniezione di risorse fresche per 6,6 miliardi, 3,6 dei quali arriveranno dall’emissione di nuovi titoli distribuiti al posto del dividendo (anche i fondi sovrani libici, secondo fonti finanziarie, sarebbero disposti a investire nei bond convertibili collegati all’operazione). Oltre alla pillola amara delle cedole trasformate in carta, gli azionisti dovranno mandare giù anche il taglio delle stime di utile netto, passato a 5,2 miliardi per quest’anno dai 6,9 annunciati.
Sul futuro del gruppo permane, dunque, ancora molta incertezza: «Difficile fare previsioni in un simile scenario», aveva dichiarato Profumo all’indomani del piano. Alla fine dell’aumento di capitale, Unicredit sarà uno dei gruppi con maggiore solidità finanziaria, con un core Tier I (il principale indice della solidità patrimoniale di una banca) al 6,7%. Eppure il piano appena varato non è riuscito a rassicurare investitori e comunità finanziaria. Tanto che ieri a bocciare il titolo ci hanno pensato gli analisti di Moody’s con il taglio del giudizio sui crediti a lungo termine e sul debito senior del gruppo di un gradino, portandoli da Aa3 da Aa2. Moody’s ha rivisto al ribasso anche il giudizio sulla solidità finanziaria di Unicredit passata a «C+» da «B-» con prospettive negative. Secondo gli analisti della società di rating l’iniezione di capitali da 6,6 miliardi non è inutile, anzi proteggerà il gruppo da eventuali perdite sui crediti strutturati e assicurerà «un migliore posizionamento in un mercato che si sta deteriorando».
Unicredit ha in pancia più di 11 miliardi investiti in Abs, particolari strumenti finanziari più esposti alla crisi che scuote i mercati. Tuttavia per l’agenzia di rating ci sono ancora tre fattori critici che peseranno sui conti: il deterioramento della redditività nel 2008, il rallentamento della divisione investment banking (si parla di 700 tagli su 3.500 posti nel mondo) e una maggiore difficoltà a digerire gli asset di bassa qualità portati in dote da Capitalia. Secondo un altro analista all’appello mancano ancora altre tre criticità che gravano sul titolo: «L’incertezza sugli utili futuri, la credibilità del management e le difficoltà in Germania», dove Unicredit è la terza banca del Paese. Non sono infatti solo le banche italiane a essere sotto tiro, le colleghe tedesche ieri non se la sono cavata meglio.


Commerzbank ha perso l’11%, Deutsche Bank il 7,8% e Deutsche Post il 5,8 per cento.

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