La politica estera di Grillo? Dettata dal suocero iraniano

Siamo a posto, nella politica italiana spunta pure il suocero iraniano. Sì, perché se pensavate che avessimo toccato il fondo procuratevi l’intervista che Beppe Grillo ha concesso al giornale israeliano Yediot Ahronot. Un capolavoro. E la dimostrazione pratica che davvero non c’è limite al peggio. I diritti delle donne a Teheran? «Mia moglie è iraniana. Ho scoperto che la donna in Iran è al centro della famiglia. Le nostre paure nascono da cose che non conosciamo». Il regime degli ayatollah? «Quelli che scappano sono oppositori...ma lì l’economia va bene, le persone lavorano. È come il Sudamerica: prima si stava molto peggio». Il terrorismo fondamentalista? «Quando uscivano i discorsi di Bin Laden mio suocero iraniano m’ha spiegato che le traduzioni non erano esatte». Colpa, secondo il comico, della lobby ebraica che filtra «tutto quello che in Europa sappiamo su Israele e Palestina».
Insomma, una sequela di quelle che, in omaggio al linguaggio diretto tanto amato da Grillo, si potrebbero con tutta tranquillità definire cazzate invereconde. A ogni grillino armato di buona volontà, e per definizione a suo agio sulla Rete, basterebbe poco per approfondire il tema. Basterebbe fare un salto sui siti delle associazioni che si occupano di diritti umani, controllare le testimonianze di chi dall’Iran è scappato per non finire ammazzato, ripassare tweet e mail dei ragazzi che durante la rivolta del 2009 si illusero, a prezzo del sangue, di poter rivendicare la loro libertà.
Tutti sforzi che Grillo non ha ritenuto di dover fare. A lui basta il suocero (per completezza c’è anche un cugino, sempre citato nell’intervista, «che costruisce autostrade in Iran. E mi dice che non sono per nulla preoccupati»). Sarebbe normale se Grillo fosse rimasto quello che è, e cioè un bravo comico che non è obbligato a occuparsi dei destini dell’Italia e del mondo. Ma così non è più. Grillo è il rappresentante del «nuovo», il leader di quello che, secondo i sondaggi, è il terzo partito italiano. A lui guardano i delusi della politica per far uscire il «sistema Paese» dal vicolo cieco in cui si è cacciato: molti tra loro sono giovani, onesti e pieni di buone intenzioni. E allora... allora c’è poco da ridere.
La Seconda Repubblica non ha saputo risolvere i vizi di una Penisola eternamente sospesa tra Africa ed Europa e non è minimamente riuscita in quello che era il suo compito più importante: approfittare dei dividendi dell’euro (bazzeccole: in fin dei conti solo qualche centinaio di miliardi). Ma la Terza chi la costruirà? Grillo? Quasi un quinto degli elettori oggi sembra crederci.
Ma quando votano i suoi candidati e lo sostengono nei sondaggi i grillini che cosa vogliono? Vogliono davvero la nazionalizzazione delle banche, come chiede il comico genovese, e l’applicazione di una serie di politiche economiche che nemmeno la più sperduta delle repubbliche centro-asiatiche potrebbe mai permettersi? Il dubbio è che in realtà al merito delle questioni non badino affatto. E che si affidino al potere della parola irridente e alla forza dello sberleffo. Così, però, ancora una volta, non si va da nessuna parte. Le difficoltà e gli sforzi del tenero Federico Pizzarotti, primo grillino eletto sindaco di una città importante come Parma, stanno lì a dimostrarlo.
Certo, in questo momento Grillo e i suoi possono permettersi di dire qualsiasi cosa.

Perché hanno un alleato importante: la classe politica asserragliata nei Palazzi romani. La sua incapacità di leggere e interpretare l’umore degli italiani rende invincibile la forza della protesta. Perfino quella di Grillo. Ma si sa: gli dei accecano coloro che vogliono perdere.

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