Guerra in Israele

Il triangolo Egitto, Qatar e Germania e le trattative segrete: cosa succede agli ostaggi

Germania, Egitto e Qatar: tutti i canali di dialogo possibili per negoziare la liberazione degli ostaggi israeliani

Il triangolo Egitto, Qatar e Germania e le trattative segrete: cosa succede agli ostaggi

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Incubo senza fine per Israele. Le forze di Tsahal accerchiano la Striscia di Gaza continuando con i bombardamenti in vista di una possibile operazione di terra che, se confermata, potrebbe rappresentare un immenso rischio per le decine di ostaggi israeliani fatti prigionieri da Hamas durante la strage del 7 ottobre. L'ultima speranza riportata dal quotidiano Haaretz è l’apertura di un possibile canale di comunicazione tra la Germania e il Qatar, Paese vicino al movimento islamista.

Domani è previsto infatti un incontro a Berlino tra il cancelliere tedesco Olaf Scholz e l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani. Ufficialmente si tratterebbe di un meeting d’affari convocato con l'obiettivo di espandere gli acquisti di gas dal Paese mediorientale ma gli eventi in Israele avrebbero fatto aggiungere un altro punto all’agenda dei due leader: discutere delle sorti degli ostaggi. Nel corso della telefonata in cui qualche giorno fa ha espresso la sua solidarietà a Benjamin Netanyahu, il cancelliere si è offerto di mediare per la liberazione dei prigionieri. Il quotidiano dello Stato ebraico non è a conoscenza della risposta del premier israeliano ma è evidente come per Tel Aviv sia prezioso ogni sforzo per riportare a casa vivi gli uomini, donne e bambini fatti prigionieri da Hamas.

L’incubo ostaggi non è nuovo per Israele ma questa volta si presenta su una scala che non ha precedenti dalla sua fondazione nel 1948. Uno dei casi più famosi ha riguardato il soldato Gilad Shalit, liberato dopo 5 anni nel 2011 in cambio della libertà di più di 1000 palestinesi in prigione in Israele. Proprio la Germania, assieme ad Egitto, Qatar e Turchia è stata tra gli attori principali che hanno portato all’esito positivo delle trattative.

Escludendo l’Iran che secondo le indiscrezioni avrebbe avuto un ruolo di finanziatore e complice della strage dello shabbat, diversi media riportano come il Qatar e l’Egitto siano gli unici Paesi vicini al movimento islamista con buoni rapporti con l’Occidente in grado di fare da ponte per dei negoziati. La geografia spesso è destino e il Cairo rappresenta per Hamas un interlocutore imprescindibile perché confina con la Striscia di Gaza ed è in parte responsabile della sua sicurezza e dell’economia. Il controllo egiziano del valico di Rafah, la frontiera attraverso la quale gli abitanti della Striscia possono recarsi all’estero o introdurre beni, assegna al regime di Abdel Fattah Al Sisi potenti leve da adoperare in un eventuale negoziato.

Il Qatar invece è considerato il bancomat di Hamas e corrisponde gli stipendi dei dipendenti pubblici dei territori amministrati da Hamas dal 2007, ospita elementi del movimento islamista e in passato si è trovata spesso a facilitare accordi con vari interlocutori. Di recente Doha è stata protagonista della liberazione di cinque prigionieri americani detenuti dall’Iran e ha fatto da base per i colloqui con i talebani.

Non ci sarà alcun negoziato con un’organizzazione terroristica”, questa la posizione ufficiale del governo israeliano. In realtà si starebbe già trattando per la liberazione di una trentina di donne e bambini palestinesi in mano ad Israele da scambiare con un numero non precisato di ostaggi. La politica di Tel Aviv è intransigente solo sulla carta avendo dimostrato in particolare a partire dagli anni Ottanta una maggiore flessibilità. Nel 1985 lo Stato ebraico ha liberato 1100 militanti per riportare a casa tre soldati detenuti da una fazione palestinese in Libano. Nel 2004 ha rilasciato più di 400 prigionieri in cambio di un colonnello rapito da Hezbollah.

L’accordo che ha visto come protagonista il soldato Shalit, salutato con favore nel 2011, è nel frattempo stato oggetto di pesanti critiche in quanto ha portato alla liberazione, tra gli altri, di Yahya Sinwar, l’attuale leader politico di Hamas a Gaza. “È stata una scelta terribile e tragica. Sapevamo che con il rilascio di Shalit stavamo consegnando dei terroristi che sarebbero con tutta probabilità tornati in attività” dichiara al Financial Times Uzi Arad, il consigliere per la sicurezza nazionale di Netanyahu all’epoca dei negoziati per il militare.

Intanto la strada per l’esito positivo delle trattative è tutta in salita e Hamas dopo aver fatto sapere di non essere interessata ad eventuali accordi minaccia di giustiziare pubblicamente un civile israeliano in ostaggio per ogni bombardamento senza preavviso compiuto su abitazioni civili a Gaza.

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