Politica estera

L'Ue pronta a colpire Orban: il piano per affossare l'economia ungherese

Bruxelles ha preparato un documento in cui si delinea un piano per colpire i punti deboli dell'economia di Budapest nel caso in cui Orban non dovesse revocare il veto ai 50 miliardi destinati all'Ucraina

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L’Unione europea è pronta a usare il pugno duro con gli Stati che intendono bloccare gli aiuti all’Ucraina. Stando a quanto riferito dal Financial Times, Bruxelles avrebbe preparato un pacchetto di sanzioni contro l’Ungheria, a cui sarebbe pronta a ricorrere per costringere Budapest a revocare il veto sui 50 miliardi di euro destinati a Kiev e inseriti nel Quadro finanziario pluriennale che i leader dei 27 discuteranno giovedì 1° febbraio in un summit straordinario.

Il quotidiano britannico ha visionato il documento in cui è stata delineata una strategia per colpire i punti deboli dell’economia della nazione governata da Viktor Orban, indebolirne la moneta e far collassare la fiducia degli investitori nel tentativo di danneggiare “l’occupazione e la crescita”. “In caso di mancato accordo al vertice, gli altri capi di Stato e di governo dichiareranno pubblicamente che, alla luce del comportamento non costruttivo del premier ungherese, non riescono a immaginare che i fondi Ue verranno forniti a Budapest”, si legge nel piano. Senza questi finanziamenti, “i mercati finanziari e le aziende europee e internazionali potrebbero essere meno interessati a investire in Ungheria", il che potrebbe innescare rapidamente “un ulteriore aumento del costo del finanziamento del deficit pubblico e un calo della valuta”.

Nel documento, inoltre, vengono illustrate tutte le vulnerabilità dell’economia di Budapest, tra cui un’inflazione molto alta, una moneta debole e la dipendenza dai finanziamenti comunitari per la crescita. “Questa è l’Europa che dice a Viktor Orban ‘basta, è ora di mettersi in riga’”, ha commentato Mujtaba Rahman della società di consulenza Eurasia group. Già in passato Bruxelles ha esercitato pressione finanziaria su alcuni Stati membri, per esempio la Grecia durante la crisi dell’Eurozona o la Polonia per questioni legati ai diritti. Una strategia che cerchi esplicitamente di minare l’economia di uno dei 27 è però una novità. “L’umore generale si è indurito”, ha commentato un diplomatico dell’Ue, sottolineando che molte nazioni sostengono il piano. “La posta in gioco è alta. È un ricatto”, ha aggiunto un altro. Un funzionario di Bruxelles ha però negato il fatto che il documento sia un piano per affossare l'economia di Budapest. "Il documento a cui fa riferimento l'articolo del Financial Times è una nota informativa redatta dal Segretariato del Consiglio sotto la propria responsabilità, che descrive lo stato attuale dell'economia ungherese. La nota non delinea alcun piano specifico relativo al Qfp e allo strumento per l'Ucraina, nè delinea alcun piano relativo all'Ungheria", ha dichiarato la fonte. "I colloqui sul Qfp sono in corso e si sono sempre basati sulla ricerca di un compromesso accettabile per tutti i 27 Stati membri dell'Ue. I negoziati tra sherpa e leader dell'Ue si basano sui principi del dialogo, della consultazione e del compromesso nell'interesse di tutti".

Dall’Ungheria è arrivo il commento del ministro per l’Unione europea Janos Boka, che ha affermato al Financial Times di non essere al corrente di questa misura e che il suo Paese “non cede alle pressioni”. Il pericolo a Budapest, però, si fa sentire e il governo di Orban ha inviato a Bruxelles una nuova proposta in cui si è detto aperto all'utilizzo del bilancio comunitario per il pacchetto Ucraina e persino all'emissione di debito comune per finanziarlo, a patto che venissero aggiunti altre clausole che gli dessero l'opportunità di cambiare idea in un secondo momento. “Siamo disposti a scendere a compromessi fintanto che questi non compromettono i nostri interessi vitali”, ha affermato Boka, ma lo scontro ormai sembra inevitabile.

Alcuni Paesi hanno valutato la possibilità di attivare l’articolo 7 del Trattato dell’Unione europea, che priverebbe l’Ungheria del proprio diritto di voto, ma altri hanno respinto l’idea poiché richiederebbe un sostegno unanime e in molti sono restii a mettere in atto una sanzione così pesante.

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