Politica estera

Pechino, da Xi sfilano lo Zar e gli amici di Teheran

Alla conferenza sulla Via della Seta anche Orban. Per il Medio Oriente emerge un fronte pro Palestina (e Hamas)

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L'importante conferenza di Pechino di oggi, dedicata al decennale della Belt and Road Initiative (in sigla Bri, meglio nota anche in Italia come Via della seta, un progetto cardine della politica estera di Xi Jinping) è obiettivamente messa in ombra dal conflitto tra Israele e Hamas. Il rischio che le ostilità si estendano e incendino l'intero Medio Oriente con il possibile coinvolgimento di Iran e Stati Uniti può far passare in secondo piano che nella capitale cinese siano attesi i rappresentanti di ben 130 Paesi, ma sarebbe errato pensare che non esista un nesso diretto tra questo grande evento e la crisi esplosa dieci giorni fa con l'improvviso attacco a Israele partito da Gaza. Al contrario: in primo luogo perché il ruolo stesso della Bri e con esso le ambizioni cinesi di aumentare la propria influenza nel mondo - è messo in discussione dalla prospettiva di normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita, che l'attacco di Hamas ha voluto ostacolare riscaraventando in primo piano la questione palestinese. E poi perché la diplomazia cinese è tra quelle più impegnate in questa crisi e non mancherà, d'intesa con il suo «junior partner» russo, di lavorare per contrapporre al fronte occidentale che sostiene Israele uno schieramento di Paesi del cosiddetto Sud del mondo vicino al mondo islamico che Pechino ambisce a egemonizzare.

Il ministro cinese degli Esteri Wang Yi ha messo subito in chiaro da che parte sta: ha evitato perfino di nominare Hamas nelle sue dichiarazioni sul conflitto scoppiato il 7 ottobre, ma accusa Israele di «andare oltre gli scopi dell'autodifesa» e pretende che «ascolti onestamente gli appelli della comunità internazionale e cessi di punire collettivamente la popolazione di Gaza». Nulla di sorprendente (sorprende, semmai, che in Occidente qualcuno sia disposto a credere a un ruolo negoziale imparziale e produttivo di Pechino, in Medio Oriente come tra la Russia del suo «caro amico e alleato» Vladimir Putin e l'Ucraina che egli stesso ha aggredito): oltre che con Putin, la Cina ha una solida relazione con l'Iran, il che implica in automatico vicinanza a Hamas e all'altro potenziale protagonista di un attacco a Israele, la milizia sciita libanese Hezbollah che Teheran arma fino ai denti. Senza dimenticare che lo stesso Iran minaccia di entrare direttamente nel conflitto se Israele invaderà la Striscia di Gaza. Più che logico, dunque, attendersi che Xi orienti nello spirito di un sostegno alla causa palestinese il forum di Pechino, mettendo chiunque vi prenda parte nella condizione di sentirsi schierato al fianco del potente organizzatore.

Ricordando che tra gli invitati ci sarà anche quel Viktor Orbán che ha trasformato l'Ungheria in un cavallo di Troia russo nell'Ue e nella Nato, rimane che l'ospite principale sarà ovviamente lo stesso Putin, che era atteso a Pechino la notte scorsa. Preceduto nella capitale cinese dal suo ministro degli Esteri Sergei Lavrov (che poi proseguirà per la Corea del Nord, affiancatasi all'Iran nel ruolo di fornitore d'armi di una Russia i cui arsenali si stanno svuotando in Ucraina), il dittatore di Mosca ha lodato prima della sua partenza «l'alto significato e la rilevanza» delle iniziative di Xi, a braccetto del quale va ripetendo di voler sfidare l'egemonia mondiale dell'Occidente a guida americana.

Tra queste iniziative c'è l'acquisto di fiumi di petrolio e gas dalla Russia, dei cui proventi Putin ha assoluto bisogno.

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