Politica estera

Pensioni, strappo Macron. Sì alla riforma senza voto. Ma il governo può cadere

Legge approvata, Parlamento scavalcato. In aula i deputati cantano l’inno. Borne verso la sfiducia

Pensioni, strappo Macron. Sì alla riforma senza voto. Ma il governo può cadere

Parigi Alla fine Emmanuel Macron è caduto nella trappola dei sindacati. La fotografia di una pressione costante che dal 19 gennaio vede manifestare migliaia di persone contro la riforma delle pensioni, con scioperi in tutta la Francia, ieri mattina è diventata un poster di gruppo davanti all'Assemblea nazionale. Una mossa astuta e vincente dei leader dei lavoratori. In 8 si sono dati appuntamento, microfoni al seguito, nel luogo indicato dal presidente della Repubblica come fonte primaria di democrazia: l'Assemblée. E, dichiarazione dopo dichiarazione alle tv, hanno aggiunto pressione sui deputati, proprio mentre gli «onorevoli» erano chiamati a percorrere l'ultimo miglio, e ad esprimersi con un voto sulla legge che dovrebbe portare l'età per la pensione da 62 a 64 anni. C'era appena stato il Sì del Senato sull'ultima versione del testo: 193 favorevoli e 114 contrari. Macron ha però sentito che l'ingranaggio governativo non stava funzionando al meglio per avere la maggioranza anche in Assemblea nazionale. Parziale il dichiarato «soccorso» dei neogollisti; il solo possibile per far approvare la riforma con un voto naturale. «Non possiamo giocare con l'avvenire del Paese», tuona Macron. Via dunque alle contromosse: due riunioni convocate all'Eliseo con lo stato maggiore del governo, una terza last-minute con la premier Elisabeth Borne. Infine, il ricorso alla blindatura della riforma per farla passare senza il rischio di andare sotto in aula, dove l'esecutivo, a mezz'ora dal voto previsto alle 15, non era più certo dei numeri necessari dal centrodestra. Solo una trentina, i potenziali voti tra i neogollisti, nonostante le rassicurazioni del patron dei Républicains. Per il via libera parlamentare non c'era quasi più tempo: infatti, in ritardo, Borne si presenta in Assemblée tra i fischi della sinistra e i versi della Marsigliese intonati dalla France Insoumise. Le impediscono di parlare. Poi l'annuncio del «jolly» costituzionale azionato del governo, quell'articolo 49,3 che scansa il voto dell'aula e impone l'adozione della legge. La scelta si trasforma immediatamente in boomerang: come temeva Macron, che aveva chiesto alla premier di evitarlo. Nel consiglio dei ministri lampo, Macron avrebbe spiegato a Borne: «Non sono io che rischio il posto o il seggio», ribadendo il suo scetticismo sulla forzatura. La premier è però disponibile a fare da agnello sacrificale. E sceglie di esporsi alle mozioni di sfiducia delle opposizioni; attese per oggi, saranno discusse tra lunedì e martedì. Marine Le Pen ne annuncia una, del Rassemblement National, e - novità assoluta - si dice pronta a votare «anche quelle degli altri». Se passano, non cadrà solo il governo ma sarà automaticamente ritirata la riforma. Tutti ingredienti per far ripiombare la Francia in una crisi politica. Fuori dal palazzo, a Parigi una folla raggiunge i sindacati in sit-in; poi un corteo spontaneo riempie Place de la Concorde, oltre 6 mila persone in poche ore, per la polizia. Tra collettivi e gilet gialli c'è pure il leader dell'estrema sinistra Jean-Luc Mélenchon: «Il messaggio arriverà all'Eliseo». Altre piazze si riempiono da Montpellier a Marsiglia. In serata, anche alcuni Républicains aprono al voto di mozioni di sfiducia di altri partiti, nonostante l'indicazione contraria del patron Eric Ciotti: «Non parteciperemo a una coalizione delle estreme che vogliono distruggere le istituzioni portando la rivoluzione nel Paese, non vogliamo aggiungere caos a caos, non voteremo nessuna mozione». Ciotti prova a scrollarsi di dosso ogni responsabilità: «È per mancanza di unità della maggioranza che non c'è stato il voto, non per colpa nostra, il metodo del governo non ha funzionato»). «Per Macron è un fallimento personale e politico totale», insiste Le Pen.

Insomma, in un colpo solo Borne ottiene una potenziale unità delle opposizioni, un ritrovato ruolo dei sindacati che lanciano la nuova mobilitazione per giovedì, e mette a rischio il suo avvenire a Matignon e pure il corso del secondo mandato di Macron, che senza questa riforma non può vantare granché.

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