Guerra

Che cos'è il Nagorno Karabakh

Nel Karabakh, terra azera popolata (e voluta) dagli armeni, è appena terminata un'operazione militare che potrebbe sancire la fine dell'esperienza artsakha. Ma quali sono le ragioni della plurisecolare contesa per il Karabakh?

Che cos'è il Nagorno Karabakh

L'operazione militare di Baku che avrebbe potuto degenerare in guerra ha assunto la forma di un blitz rapido e incisivo. Le ostilità tra le forze armate azere e quello che restava del dispositivo militare dell'autoproclamata repubblica dell'Artsakh sono iniziate nel pomeriggio di ieri e sono terminate la mattina di oggi. Risultato: neutralizzazione del sistema di difesa dei separatisti, accordo tra i belligeranti sull'avvio di un tavolo negoziale per risolvere definitivamente la questione karabakha.

Nagorno Karabakh, una faida antica

La contesa per il vigneto nero della Transcaucasia, il Karabakh, inizia a cavallo tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Le terre aspre ma sacre del Karabakh, che secondo le leggende locali avrebbero dato rifugio ai discendenti di Noé, sono sempre state la mela dei desideri dei popoli del Caucaso. Per gli armeni è una questione di mitologia, giacché il Karabakh avrebbe dato i natali al padre della nazione, il guerriero Hayk, ma anche di storia: la loro presenza nell'area antecede la venuta di Cristo. Per gli azeri è una questione di identità, essendo il Karabakh il luogo in cui si è sviluppata parte fondamentale della loro storia sin da quando i loro antenati tataro-mongoli trasmigrarono dalle steppe di Turan.

Per tutti gli altri, russi, persiani e turchi, il Karabakh è sempre stato un mezzo per un fine: il controllo del Caucaso meridionale. Di fatto turco e inglobato nel Türk dünyası sin dalla metà del Settecento, epoca coincidente con lo stabilimento del khanato filottomano del Karabakh, questo luogo-chiave dei “Balcani d'Eurasia” ha iniziato a sperimentare un crescendo di tensioni interetniche a cavallo tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Crescendo alimentato dal declino in simultanea dei due guardiani della regione – Impero russo e Sublime Porta – e aggravato dall'arrivo del vento caldo della nazionalizzazione dei popoli proveniente dall'Europa. Risultato: pogrom di armeni contro azeri, pogrom di azeri contro armeni.

La geografia demografica del Karabakh era eterogenea: se è vero che alcuni villaggi erano popolati in maggioranza da armeni, lo è altrettanto che Șușa, la principale città della regione, presentava sette abitanti su dieci di origine azera negli anni Venti dell'Ottocento. La questione di chi avrebbe dovuto controllare il Karabakh, la terra dei miti dei popoli transcaucasici, era destinata a superare il secolo.

Soldati armeni in Nagorno Karabakh nel 1994
Soldati armeni in Nagorno Karabakh nel 1994. Foto: Armdesant (CC BY-SA 3.0).

Dal Novecento ai giorni nostri

All'indomani della Rivoluzione bolscevica, causa di morte dell'Impero russo, la questione karabakha assunse un'importanza centrale nei negoziati tra le varie entità federate. Inizialmente integrato nella Repubblica federata democratica della Transcaucasia, poi incorporato nel Consiglio del Karabakh, successivamente annesso dalla neonata Repubblica democratica dell'Azerbaigian e a seguito di ciò dichiaratosi indipendente su impulso di Erevan, il Karabakh fu la spina nel fianco dei propositi sovietici di stabilizzare il Caucaso meridionale fino alla prima metà degli anni Venti.

Dopo la breve ma intensa guerra tra armeni e azeri per il controllo del Karabakh del 1920, caratterizzata da massacri e varie brutalità, Erevan dichiarò la regione come propria. Ma Stalin, reduce da una sanguinosa guerra civile e profondo conoscitore del Caucaso – essendone un figlio –, aveva altri piani. Intervenne nella questione a favore di Baku, trasformando il Karabakh in un oblast' autonomo all'interno della Repubblica socialista sovietica dell'Azerbaigian.

Sul finire degli anni Ottanta, in concomitanza con l'inizio della sgretolazione dell'Unione Sovietica, i sopiti ma non sepolti malumori tra armeni e azeri riapparvero. Un ciclo di stragi avrebbe condotto a una vera e propria guerra su larga scala, combattuta tra il 1988 e il 1994, coinvolgente grandi potenze – in primis Turchia e Iran – e attori nonstatuali – l'Internazionale jihadista.

Nonostante l'aiuto umano, economico e bellico ricevuto da una varietà di sponsor, Baku non riuscì ad affermare il controllo sul proprio oblast e la guerra terminò con la fuga en masse degli azeri dal Karabakh, nel frattempo armenizzato dai separatisti tra pogrom – come il massacro di Khojaly – e pulizie identitarie – abbattimenti di moschee, minareti e siti culturali.

La pace imposta a Baku si sarebbe però rivelata fugace. Nel dopoguerra gli azeri scoprirono di possedere alcuni dei giacimenti di combustibili fossili più significativi della regione, sviluppandoli e investendo i proventi a dieci zeri nella ricostruzione, oltre che dell'economia, delle forze armate. Concomitanti avvenimenti paralleli in Armenia, povera di risorse naturali e colpita da un'emorragia demografica, e congiunture favorevoli a livello internazionale, in particolare la rinascita della Turchia e il Pivot to Caucasus di Israele in chiave anti-iraniana, hanno più tardi convinto l'Azerbaigian che i tempi fossero propizi per (provare a) riprendersi il ribelle Karabakh. La breve ma intensa guerra del 2020 gli ha dato ragione.

E il blitz del 2023 potrebbe spianare la strada alla risoluzione definitiva della questione, grandi potenze permettendo.

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