Caro uomo ti scrivo...

Cara amica, hai capito che i gay non sono tutti uguali

Nino Spirlì risponde alla lettera d'estate della Bernardini de Pace

Cara amica, hai capito che i gay non sono tutti uguali

Cara Amica del cuore, ma dove sei stata finora?

Ti cercavo e non c'eri mai. A saperlo, Ti avrei fatto le poste davanti al tuo ufficio. Ho dovuto sfogliare le pagine del Giornale per sapere che esisti davvero e che non sei solo una speranza.

Ah, quante volte ho sognato di averTi seduta di fronte a me, con due calici di rosso italiano in mano, per sfogare con Te certe mie rabbie... Quali rabbie? Quelle! Quelle di cui dici. Le furie per le autoghettizzazioni, per le autocommiserazioni, per le autocategorizzazioni di certo frociame sculettante, miagolante e falsamente brioso. Showgay impomatati, ciuffati e con quelle maledette esse semisibilate (sembra vadano tutti alla stessa accademia dell'effeminato scemo), accavallati operati anagraficamente confusi non omo-non etero, effervescenti simpatizzanti disinformati con tessera rainbow e camera da letto chiacchierata, papponi sporcaccioni con l'occhietto centometrista da urinatoio ferroviario, vecchie glorie del materasso cotonate e gonfie di filler «a mongolfiera»: tutti a squacquerare di gaytà, pridemania, gaywedding e figli arcobaleno di uteri condominiali, nei salotti televisivi o, peggio, sui divani malamente accoppiati dei palchi estivi delle fiere della vanità sudata e vacanziera.

Queste rabbie, Amica mia. Unite alla solitudine che respiravo, per colpa Tua, per la Tua assenza, ogni volta che una qualsiasi conversazione svirgolava sul tema. «Voi così, siete tanto geniali. Tanto sensibili. Tanto artisti». Tanto così... «Noi», «così»? Ma come? Io sono, a volermi categorizzare, calabrese, peloso, grasso, credente, di destra, basso 1e 70, autore tv, carnivoro, automunito, permaloso, ricchione... Ah, ecco. Forse, le vecchie signore dai capelli grigio-turchino e la dentiera battente, quando dicono «Voi così», intendono dire ricchione? Ma, allora, bisogna subito informarle che non basta essere ricchione per essere artista, geniale, creativo, artista, e roba affine. Ce ne sono di capre sceme, fra i culattoni, signore mie! Tutta quella processione di checcarelle colorate che sciama da un locale tesserato all'altro lungo tutto lo Stivale, per esempio. E Tu, Amica vispa e intelligente, lo sai bene. E le tieni a debita distanza. Come faccio anche io, del resto. Peccato non essersi trovati, noi due, nel luogo della debita distanza. Ci saremmo apprezzati prima.

Mannaggia! Se lo avessi solamente immaginato, che eri Tu l'Amica tanto attesa, Ti avrei scritto prima. Comunque, ora siamo qui e incrociamo le stilo. Noto che usiamo la stessa punta: ironica e sentimentale. Ti commuovi, eh?, quando parli della mamma dell'amico non dichiarato. Ma non è fortunatamente così in tutte le famiglie.

Ti faccio leggere, se me lo permetti, un'altra storia, dal Diario di una vecchia checca . Aspetta, la cerco...

Eccola:

«1 Settembre 1985 - S. Egidio abate Taurianova

Dopo tutti questi mesi, è venuto il momento.

Sì, ne sono convinto: non è un capriccio, questo è amore vero. Posso finalmente parlarne con papà. Entro nel suo studio, lui è impegnato a scrivere il testo di una delle tante conferenze sulla storia della Calabria, che tiene in giro per l'Italia.

Batte ancora sulla sua Olivetti lettera 22, ed è come se suonasse uno strumento musicale.

È assorto nei suoi pensieri

“Sai, papà, questa volta credo di essermi innamorato di un uomo”. Aspetto la sua reazione.

Il concerto cessa, papà abbassa i suoi occhiali sulla punta del naso, mi guarda e sorride dolcemente: “Sei felice? Perché se tu sei felice sono felice anche io... Se, poi, me lo vuoi presentare, questo tuo nuovo amore, la casa, lo sai, è aperta”.

Ne nasce uno ogni cinquecento anni di Padri così. In realtà, il mio grande amore è Lui. Ho allungato la mano sulla scrivania per cercare la sua e Lui ha fatto lo stesso per cercare la mia. Le abbiamo strette contemporaneamente guardandoci negli occhi. Leggendoci nel cuore.

Avevo 24 anni. Qualche esperienza me l'ero fatta in caserma. Ma, all'arrivo del sentimento, non ho potuto non comunicarlo ai miei genitori. Erano gli anni '80, in Calabria, nella Piana di Gioia Tauro, a Taurianova, in una famiglia in cui mio Padre era unico figlio maschio ed io anche. Pensa Tu, Amica mia, quante aspettative...».

Sono stato fortunato, dici? Può essere. Ma penso, come quel Padre Latino, che la fortuna la costruiamo noi personalmente. Voi Donne, è vero, siete più abili dell'Uomo, nel farlo. Figlie della luna, dell'argento, della notte, dell'acqua, avete dalla vostra l'intuizione e la profondità. Costruite con pietra e consapevolezza. Mentre l'Uomo, fingendo spavaldo coraggio e arrogante potenza, a Voi si affida. Alla Madre, alla Moglie, all'Amica. (Anche Dio ha avuto necessità di una Madre e di una Moglie per completare la propria missione. E se lo ha fatto Lui...).

Io, la fortuna, l'ho fabbricata con le vittorie e sulle macerie che, di giorno in giorno, producevo vivendo. E ancora ne fabbrico. Sempre impastando gli stessi materiali. Perché di vittorie e macerie è fatta la nostra esistenza. Non di altro. Se sappiamo indossare le une e accettare le altre, siamo sul giusto sentiero.

Leggo le Tue lettere, Cara, e mi abbandono ai pensieri che da esse scaturiscono. Sei fonte e anfora. Sai donare e ricevere. E questo è un dono. Ora, non posso che augurarmi di berlo davvero, quel buon calice di rosso italiano.

Un abbraccio

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