Cronache

Muore per il cane, l'orgoglio dei cacciatori: animalisti pure noi

Renato, 53 anni, ha perso la vita nel lago per salvare dall'annegamento il suo amico a quattro zampe. Ma non è l'unico caso di altruismo

Muore per il cane, l'orgoglio dei cacciatori: animalisti pure noi

«Cacciatore scambia l'amico per un cinghiale e gli spara, uccidendolo».

Tanti anni fa, commentando il titolo di questa notizia, Maurizio Costanzo non nascose una certa «soddisfazione». Ad ascoltarlo c'erano milioni di telespettatori che fedelmente seguivano ogni sera il suo talk show. Costanzo è un animalista convinto, idem sua moglie Maria De Filippi. Entrambi non perdono occasione per esaltare il mondo animale e disprezzare le doppiette che sparacchiano a destra e a manca. A pensarla come la coppia Costanzo-De Filippi è la maggior parte degli italiani che - a torto o a ragione - vede nei seguaci della dea Diana degli animalofobi. Ovviamente chi va in giro con un fucile a sparare contro uccelli, selvaggina (e anche, per errore, amici di caccia...) non gode nel nostro Paese di buona stampa. Gli stereotipi contro i cacciatori «assassini» si sprecano, e le doppiette faticano non poco a liberarsi di luoghi comuni (alcuni decisamente ingiusti) che «macchiano» la loro reputazione. Non è questa la sede per ripercorre le tappe di una «guerra» - quella sempre in corso tra animalisti e cacciatori - che, da entrambe le parte, si nutre spesso di preconcetti e semplificazioni. E a dimostrare come la realtà sia ben più complessa del banale chiacchiericcio, ecco pioverci addosso una storia (sarebbe meglio dire, un dramma) come quello di due giorni fa accaduto sulle rive di un lago ad Almenno San Bartolomeo (Bergamo).

Una tragedia che le agenzie hanno liquidato in poche righe: «Quando ha visto il suo cane da caccia in difficoltà, non ci ha pensato due volte e si è lanciato in acqua per salvarlo: ma il gesto è costato la vita a un cacciatore, Renato Rota, 53 anni, che è annegato. Il corpo senza vita del cacciatore è stato recuperato sott'acqua attorno alle 10,30 del 28 settembre dai subacquei dei vigili del fuoco, giunti al laghetto con un canotto. Salvo, invece, il cane, che è riuscito a uscire dall'acqua». Il signor Renato si è sacrificato per il suo cane fino a rimetterci la vita. Renato era un cacciatore, simbolo di quel «popolo delle doppiette» che sostiene di «amare la natura e gli animali». No, non è un controsenso. Anche se gli animalisti non se ne convinceranno mai. Soprattutto la frangia più politicizzata, cioè quella che a ogni apertura della stagione venatoria scende in campo con fischietti e campanacci per disturbare «pacificamente» i loro storici «nemici». Che, nei decenni, si sono trasformati a tal punto da ergersi ora a «paladini unici dell'ambiente». Forse anche questa un'esagerazione.

Eppure scorrendo le cronache degli ultimi anni si scopre che il mondo dei cacciatori è pieno di «eroi» come il signor Renato Rota. «Padroni» che per salvare il proprio cane sono morti in situazioni più meno analoghe a quelle in cui è deceduto Renato. È accaduto l'anno scorso in Veneto, quando «Black», il cane da riporto del signor Giovanni, 61 anni, finì nel fiume e fu travolto dalla corrente: medesima sorte per l'uomo, che si era tuffato nel vano tentativo di salvare il suo amico a 4 zampe. Annegarono entrambi.

Ma i circoli della caccia di tutta italia sono pieni di targhe ricordo in onore di associati periti nel tentativo di prestare soccorso ai loro cani finiti in acqua o precipitati nei crepacci.

«L'affetto che unisce un cacciatore al suo cane è simile a quello di un padre per il figlio», aveva scritto un giorno il signor Renato Rota. Il quale, se potesse tornare in vita, in quel lago maledetto tornerebbe a tuffarsi.

Sicuro che, a parti invertite, il suo cane avrebbe fatto lo stesso per lui.

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