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Quel vizio di fabbricare accuse false

L'ex Cirino Pomicino sul corto circuito mediatico-giudiziario legato al pronunciamento della Corte d'Appello di Firenze sull'inchiesta che ha coinvolto il banchiere Palenzona

Quel vizio di fabbricare accuse false

Pubblichiamo l'intervento dell'ex ministro e dirigente Dc Paolo Cirino Pomicino, tratto dal Foglio , sul corto circuito mediatico-giudiziario legato al pronunciamento della Corte d'Appello di Firenze che ha smontato l'inchiesta che ha coinvolto il banchiere Fabrizio Palenzona di Unicredit.

Ancora una volta dobbiamo dire con il mugnaio Arnold, imperante Federico II di Prussia, «ci sarà pur sempre un giudice a Berlino». Ma quanta fatica e quanta sofferenza per arrivare a Berlino. Ci riferiamo alla sentenza dei giudici del Riesame della corte di appello di Firenze che hanno letteralmente destrutturato prima ed azzerata poi l'impalcatura accusatoria messa in piedi dalla direzione nazionale antimafia di Firenze ed avallata dal gip del Tribunale di Firenze contro Fabrizio Palenzona e due alti dirigenti di Unicredit, Fossati e Castaldo.

L'infame accusa indicava i tre personaggi citati come favoreggiatori di una impresa, quella di Bulgarelli, in odore di mafia, anzi vicino al capo dei capi Matteo Messina Denaro. Una accusa infamante per chiunque e a maggior ragione per dirigenti autorevoli del più grande istituto di credito italiano che ha ancora sede in Italia nonostante la proprietà sia in maggioranza di fondi stranieri. Nella sentenza del Riesame abbiamo letto una domanda ed una risposta di buon senso che noi stessi ci eravamo fatti e che addirittura precede ogni ricerca di prova. I tanti esperti di mafia che sono ad ogni angolo di Tribunale quasi ogni settimana ci spiegano come la mafia sia l'unica impresa che non conosce crisi e che inietta nella economia reale centinaia di milioni di euro ogni anno per riciclarli ed acquisire nuova ricchezza. Se gli esperti sono esperti, inquirenti compresi, come si può immaginare allora che una impresa addirittura vicino a Matteo Messina Denaro abbia un debito bancario di ben 60 milioni di euro e ne chieda con urgenza la ristrutturazione facendo il giro delle sette chiese, come fanno tantissimi imprenditori italiani normali?

Ma c'è di più. Il favoreggiamento di Palenzona e dei due grandi dirigenti di Unicredit veniva dato per scontato dalla direzione nazionale antimafia di Firenze sulla base delle indagini dei Ros e confermata dal gip di turno visto che il Bulgarelli aveva ottenuto la sospirata ristrutturazione del debito nonostante intercettazioni di altri dirigenti bollassero negativamente il piano proposto dall'imprenditore trapanese trapiantato a Pisa. Voi non ci crederete ma la ristrutturazione del debito era stata puntualmente bocciata dal comitato credito dell'Unicredit. Cioè, il cuore dell'accusa era falso!

Dobbiamo dire che la faccenda ci indigna ma non ci sorprende. Venti anni fa, infatti, anche noi fummo accusati con un documento inviato alla Camera dei deputati di aver favorito una impresa camorristica vicino al noto boss Alfieri nel costruire un silos nel porto di Napoli della nota società Italgrani il cui proprietario era un carissimo amico di famiglia. Un'accusa precisa e puntuale che ci turbò non poco pensando che fra le tante banali segnalazioni che eravamo costretti a fare in una città dolente come Napoli poteva anche essere inconsapevolmente vero il fatto. La prima cosa che facemmo organizzando la difesa dinanzi a numerose sciocchezze inviate alla Camera dei deputati fu quella di telefonare alla autorità del porto di Napoli per sapere in che data era stato costruito il silos in questione e chi l'aveva costruito. Il silos non c'era. Mai costruito e men che meno dalla società Italgrani. Non vi diciamo chi erano i magistrati inquirenti che sottoscrissero quell'atto infame che resta nell'archivio della Camera perché tutti hanno fatto grande carriera. Anche allora ci fu un giudice a Berlino e fummo prosciolti dal giudice degli atti preliminari.

Ma l'Italia può andare avanti così? È mai possibile svolgere una qualunque attività pubblica o di prestigio nel settore privato senza correre così di frequente rischi infami che tolgono reputazione, salute e serenità pur senza aver fatto nulla di male? Il vecchio adagio diceva «male non fare paura non avere». Da tempo non è più così. Sarebbe un errore rispondere limitando le indagini degli inquirenti ma diventa urgente ed imperioso che gli stessi inquirenti facciano tutte le indagini che ritengono utili alla giustizia ma senza procedere ad atti cautelari con tanta leggerezza e superficialità come non solo è avvenuto nei casi descritti ma in moltissime altre occasioni addirittura con arresti e sequestri per diversi mesi.

Se la vicenda non rientra nel perimetro tipico delle società civili, l'Italia diventerà sempre più immobile perché la necessaria azione degli inquirenti si trasformerà in terrore giudiziario e molti non faranno ciò che è giusto fare assumendosi le proprie responsabilità.

Ci riflettano gli organismi giudiziari e le rappresentanze della magistratura e si muovano di conseguenza perché il paese non può fare a meno della loro azione ma non può neanche più tollerare iniziative che offendono la stessa professionalità dei magistrati e l'equilibrio fisico e psichico di tanti cittadini perbene spesso lasciando segni indelebili.

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