Politica

Abe trionfa ancora: confermato il premier che dice no all'austerity

Maggioranza dei due terzi per il leader che scommette sulla ripresa di Tokio e non sulle tasse: «Rilancio l'Abenomics»

Shinzo Abe ha vinto il suo referendum personale. Anzi, lo ha stravinto, perché non solo il partito liberaldemocratico giapponese da lui guidato ha largamente portato a casa le elezioni politiche anticipate, ma ha anche riconquistato in coalizione con il partito d'ispirazione buddhista New Komeito la maggioranza dei due terzi dei seggi alla Camera Bassa del Parlamento di Tokyo che permetterà al premier uscente e trionfalmente riconfermato di riprendere in mano leggi respinte dalla Camera Alta e di proporre emendamenti alla Costituzione.

Il trionfo di Abe - ottenuto nonostante un ulteriore e preoccupante calo dell'affluenza ai seggi, che ha a stento superato la soglia del 50 per cento - è soprattutto il trionfo di «Abenomics», la dottrina economica liberista con cui il premier conta di rilanciare un'economia da tempo in difficoltà. Nel 2012 il premier anti-austerity aveva annunciato un percorso economico fortemente espansivo basato su una complessa strategia solo in parte sintetizzabile con il modello delle «tre frecce»: politica monetaria basata su un forte incremento della liquidità (l'obiettivo per la fine di quest'anno è di passare da 135mila miliardi a 270mila miliardi di yen) e con l'obiettivo di raggiungere in modo sostenibile un'inflazione del 2 per cento, politica fiscale flessibile con misure di stimolo per oltre ventimila miliardi di yen e una strategia di crescita che privilegia l'aiuto di Stato agli investimenti dei privati. Il percorso di Abenomics non è stato facile, e anzi a un certo punto si è seriamente temuto che la scommessa ultraliberista del premier andasse verso la sconfitta, soprattutto quando non si è assistito alla prevista ripresa dei consumi.

Abe ha però avuto il coraggio politico di scommettere ancora su se stesso e ha scelto le elezioni anticipate, stravincendo. Ma la sua vittoria non si spiega solo con l'economia e con la speranza dei giapponesi di uscire grazie alla sua azione da uno stallo di troppo lunga durata. La seconda partita su cui Abe punta con decisione le sue carte è quella della sicurezza nazionale. È anche questo un gioco complesso, i cui principali fattori sono il ritorno della rivalità anche in ambito geostrategico con il colosso cinese, l'ambizione a liberarsi dallo scomodo ruolo di nano militare tornando a rivestire quello di potenza regionale e il desiderio dell'alleato americano di ridisegnare la partnership con Tokyo su un piano meno squilibrato. Abe ha colto l'inquietudine dell'opinione pubblica giapponese rispetto alla nuova aggressività della Cina di Xi Jinping e alla minaccia rappresentata da un sia pur ridotto arsenale nucleare nelle mani di un dittatore paranoico come il norcoreano Kim Jong-un e le ha dato una risposta che solletica un orgoglio nazionale da tempo represso.

Rimane il dato del marcato calo dell'affluenza, che non è mai un buon segno anche per un leader vittorioso: la spiegazione più plausibile sta nella debolezza delle opposizioni al colosso liberaldemocratico.

Dalla sinistra moderata del partito democratico a quella estrema rappresentata da un partito comunista fuori dalla Storia, nessuno sembra offrire un'alternativa convincente.

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