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Addio all'"avvocato del popolo": adesso "Giuseppi" fa l'umanista

Il presidente incaricato si adegua alla nuova maggioranza e tace sui temi divisivi. Giravolta europeista in politica estera

Addio all'"avvocato del popolo": adesso "Giuseppi" fa l'umanista

Avvocato per gli italiani, premier per tutte le stagioni. Nuove parole chiave, temi scivolosi nel cassetto, rinnegare gli eccessi con discrezione e una verniciata di verde ambientalista, che si porta con tutto. Il confronto tra il discorso di ieri di Giuseppe Conte al Quirinale e quello pronunciato dal premier in Senato all'atto della fiducia Lega-M5s, rende l'idea di quanto sia elastico di principi l'avvocato addestrato da anni di mediazioni legali.

Cambia radicalmente l'ispirazione. All'avvio della sua prima avventura di governo, il premier partiva con un elogio del populismo: «Le forze politiche che integrano la maggioranza di governo sono state accusate di essere populiste e antisistema. Se populismo è attitudine ad ascoltare i bisogni della gente, allora lo rivendichiamo». Altri tempi. La parola d'ordine cambia: dal «populismo» del 2018 al «nuovo umanesimo» del 2019. E pensare che nel discorso compare per due volte la parola «coerenza».

Ma la giravolta più scoperta è in politica estera. Il Conte gialloverde era per «ribadire l'Alleanza atlantica» ma soprattutto per essere «fautori di un'apertura alla Russia» per «una revisione delle sanzioni». Il Conte giallorosso invece punta tutto «sulla collocazione euro-atlantica e sulla integrazione europea». Ed ecco pagato il conto a Trump per l'endorsement e a Ursula von der Leyen per il tempismo nel prospettare, in piena trattativa Pd-M5s, un'Europa non più arcigna guardiana di conti e frontiere. Il colmo arriva quando il presidente incaricato si lamenta di quel perditempo del Conte dimissionario: «Siamo agli albori di una nuova legislatura europea e dobbiamo recuperare il tempo sin qui perduto per consentire all'Italia di svolgere un ruolo da protagonista».

In economia a colpire sono soprattutto le assenze. L'intera trattativa per far nascere il minestrone democrat-grillino, inclusi i 5 punti «irrinunciabili» di Nicola Zingaretti e i dieci di Luigi Di Maio, si è svolta all'insegna della scientifica omissione di ogni materia potenzialmente divisiva. E «Giuseppi» non è stato da meno: dal 15 agosto nessuno parla più di Tav, Ilva, Quota 100. Il 5 giugno 2018 aveva parlato del «diritto al reddito minimo di cittadinanza» e dei tagli sulle «pensioni d'oro» sopra ai 5mila euro. Guarda la sfortuna, il sussidio e lo scippo ai pensionati sono arrivati, i tagli alle tasse invece no. Ora abbondano riferimenti a uguaglianza, equità e sostenibilità, sparisce ovviamente la flat tax e rimane un generico auspicio «a un Paese dove le tasse le paghino tutti, ma proprio tutti, ma le paghino meno» che non è proprio la stessa cosa del «carcere per gli evasori» evocato a giugno 2018 in coppia con il «Daspo per i corrotti». Del resto, sulla giustizia i grillini sono forse più distanti dalla Lega che dal Pd. Nelle promesse til tema latita, proprio come la questione accoglienza. Nel precedente intervento c'era una dichiarazione di guerra «al business dell'immigrazione cresciuto a dismisura sotto il mantello della finta solidarietà», praticamente un j'accuse al Pd, ora sparito.

Ma è l'approccio generale che è rovesciato. Rivoluzionario 14 mesi fa, rassicurante ieri, con l'insistenza sui «Sì»: «Non sarà un Governo CONTRO. Sarà un Governo PER» (maiuscoli come nel testo). E pensare che l'M5s è stato per antonomasia il partito del No a tutto: Tav, Tap, olimpiadi, inceneritori.

Stai a vedere che è questo il vero governo del cambiamento.

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