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Alexis il "traditore", l'uomo che sedusse l'Ue

Il leader della sinistra si presentò come salvatore del Paese e dell'Europa. Ma ha perso la sfida

Alexis il "traditore", l'uomo che sedusse l'Ue

Atene Il traditore, lo definisce qualcuno. Proprio come Efialte alle Termopili nell'epica battaglia di Leonida e dei suoi 300. E ancora, uno che non ha mai lavorato, dicono altri, come molti compagni ellenici che dalla notte del Politecnico in poi hanno fatto carriera. Non è stata una giornata semplice per Alexis Tsipras, il grande perdente delle elezioni, passato dal 2% di un movimento extraparlamentare alla guida di un paese più volte sull'orlo di un precipizio. Oggi colui che ha sedato la troika e i creditori internazionali fa i conti con una nuova fase.

«Ha salvato la Grecia e l'Europa», continuano a recitare i syrizei più incalliti, ma dimenticando la notte del referendum che segnò la rottura con l'ex sodale Yanis Varoufakis, unico dimissionario in questa storia, ancora molto grigia, fatta di debiti e prestiti infiniti. E soprattutto il fatto che oggi ogni greco ha in tasca un terzo di ciò che aveva nel 2010, con prospettive incerte stando alle preoccupazioni del Fondo Monetario Internazionale. Quando la parabola governativa di Tsipras era in procinto di salpare, per le strade di Atene si scorgevano i sei per tre improntati al cambiamento. «Sconfiggerò la troika», prometteva dal palco poche ore dopo la vittoria alle elezioni del 2015. Passati pochi mesi la troika tornò più forte di prima nei ministeri di Atene, con nel frattempo tre casi giudiziari a fare da cornice alla politica: la lista Lagarde degli illustri evasori, il processo Siemens rimandato per assenza di interpreti e rinuncia dei giudici e lo scandalo Novartis sui farmaci. Non si fa mancare proprio nulla la Grecia, neanche gli ospedali dove il premier ha preteso di far installare il wifi gratuito ma dove poi possono mancare anche lenzuola e garze, per non parlare dei malati chemioterapici «costretti» dai tempi biblici del pubblico a pagarsi di tasca propria le cure.

Cittadini e analisti convergono su un punto: se ieri il rischio era la bancarotta, oggi la realtà è fatta di tasse alle stelle e incertezza sul futuro. Chi resta in Grecia si fa in quattro per sbarcare il lunario, ma un medico in corsia o un pilota di caccia portano a casa 1100 euro. Chi può emigra, con la morte nel cuore. L'ultimo calcio negli stinchi alla Grecia il premier lo ha dato in occasione dell'accordo di Prespa, sul nome Macedonia concesso a Skopje senza alcun appiglio storico. Tutto il paese, e non solo nazionalisti o ultracattolici, è sceso in piazza ad Atene e Salonicco per ribellarsi. «Nessuno ha il diritto di rivendicare ciò che non gli appartiene. Non si possono evocare eventi storici che non si sono mai verificati rubando la storia altrui», disse nel 2016 il presidente della Repubblica Pavlopoulos sulla necessità di difendere l'identità greca della Macedonia e di rispondere ai «falsificatori» della storia, visto che l'ex Fyrom si è presa anche il logo di Alessandro Magno. Ma Tsipras ha tirato dritto, forte di una mossa che dovrebbe fruttargli una poltrona di peso entro l'anno (si parla di Onu o Ocse), senza che qualcuno gli facesse leggere la missiva con cui trecento tra i più prestigiosi storici e archeologi di tutto il mondo chiedevano all'allora presidente americano Barack Obama di non avallare quell'assurdo cambio di nome.

Della vecchia nomenklatura greca, rea secondo Tsipras di ruberie e malaffare, è finito in carcere solo l'ex ministro della Difesa Tzogatzopoulos, per via di fondi neri e tangenti su carri armati e missili. Ma una grave patologia al cuore gli ha permesso di scontare solo cinque anni su venti. Altri nomi di peso l'hanno fatta franca, nonostante Tsipras avesse promesso una piazzale Loreto, mentre due testimoni chiave si sono impiccati, l'ex ministro Zanias a Volos e il mercante d'armi Karambouloglu a Giakarta. Quel che è certo è che da domani nessuno chiederà più conto di niente ad Alexis.

FDP

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