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Altro che giustizia: nell'anno giudiziario si parla di Covid, Draghi e Recovery

Alla cerimonia davanti a Mattarella, Casellati e Fico l'imbarazzo di Salvi, il Pg di Cassazione tirato in ballo per la promozione. E Curzio, primo presidente di Cassazione, parla dei "giovani senza futuro"

Altro che giustizia: nell'anno giudiziario si parla di Covid, Draghi e Recovery

Come se nulla fosse, o peggio. Il fantasma vivissimo di Luca Palamara aleggia ingombrante sull'inaugurazione dell'anno giudiziario, più del Covid che pure costringe a una cerimonia «magra», con appena una trentina di presenti nella grande sala del Palazzaccio. Per quanto ridotto, il parterre in Cassazione è completo: ci sono Mattarella, Conte, i presidenti di Senato e Camera Casellati e Fico, il Guardasigilli Bonafede. Oltre, ovviamente, al primo presidente della Cassazione, Pietro Curzio, eletto dal Csm a luglio scorso, e al Pg Giovanni Salvi, al centro delle polemiche per la freschissima richiesta di 27 toghe di spiegare la storia della sua «autoraccomandazione» con Palamara - episodio raccontato da quest'ultimo nel libro intervista con Alessandro Sallusti Il sistema - o di rassegnare le dimissioni.

Curzio è il primo a parlare. Cita Mario Draghi e il timore, a proposito di Recovery fund, che «qualora tutte le risorse venissero acquisite» il debito «dovrà essere ripagato principalmente da coloro che sono oggi i giovani». E per non «privare i giovani del futuro», ha spiegato il primo presidente della Suprema corte, tocca mettersi al lavoro e avviare un cambiamento profondo, perché «per ottenere dall'Europa i relativi finanziamenti è necessario tracciare un quadro di riforme». A cominciare, concede Curzio, proprio da quella della Giustizia: una riforma «che dia idonee garanzie di conseguire gli obiettivi prefissati». L'accenno è un po' vago, rispetto al terremoto che le parole del convitato di pietra Palamara continuano a scatenare all'interno della magistratura, ma tant'è. Giovanni Salvi, che da quelle parole come detto viene tirato in ballo direttamente, nel suo intervento sembra andare dritto al punto. Inizia ricordando l'omicidio di Antonino Scopelliti e spiega che proprio «il coraggio di tanti colleghi ci dà oggi la forza per ricostruire la credibilità della magistratura». Una credibilità, ammette, «duramente scossa dalle indagini che hanno portato a emersione un sistema diffuso di asservimento del governo autonomo a logiche di interessi di gruppo, che ha consentito anche condotte di assoluta gravità, alcune delle quali in precedenza mai verificatesi». Poi parla di covid, femminicidi, corruzione, razzismo e antisemitismo. E torna a parlare di Palamara, anche citandolo due volte, parlando del settore disciplinare. Spiega che a oggi l'azione disciplinare per i fatti emersi dopo l'inchiesta di Perugia ha riguardato 27 magistrati, per 17 dei quali «è già stato chiesto il giudizio che si svolge di fronte alla sezione disciplinare del Csm». Salvi, poi, aggiunge che «sono state emanate linee guida per l'esame dei molti casi emersi dalle indagini della Procura di Perugia» e spiega che queste linee guida «hanno distinto i casi di effettiva rilevanza disciplinare, perché in violazione del precetto tipico, dalle condotte che, pur in contrasto con precetti etici o deontologici, rientravano nell'attribuzione del Csm o dell'Anm, alla quale pure la legge attribuisce uno specifico ruolo, attraverso il suo codice etico, da quelle infine che non hanno alcuna valenza negativa». Parole che sembrano suonare come un'autodifesa di Salvi rispetto alle accuse di «autoraccomandazione» arrivate da Palamara contro il procuratore generale della Cassazione nel libro di Sallusti e ribadite, anche ieri, dall'ex presidente dell'Anm. Ospite di Paolo Liguori a Fatti e Misfatti, Palamara ha infatti ripetuto che «l'autoraccomandazione è un meccanismo interno che esiste. Chi concorre a un posto vuole avere spesso un rapporto diretto con il consigliere del Csm». Un punto su cui peraltro anche Salvi, più volte, si era espresso ritenendo che in fondo la segnalazione (e l'autosegnalazione) non è propriamente peccato. E mentre la resa dei conti interna alle toghe sembra ben lontana dalla fine, un pizzico surreale l'ha aggiunto l'intervento del Guardasigilli Bonafede che, stante la crisi di governo in atto, ha avuto buon gioco nel limitarsi a un intervento «tecnico».

E già che c'era, però, per eccesso di zelo nello snocciolare le riforme varate nel 2020 si è tenuto ben alla larga anche solo dal citare quella della prescrizione, pomo della discordia con l'opposizione e con i renziani di Italia Viva.

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