Cronache

Amanda condanna l'Italia: "Per voi resterò un mostro"

La 32enne americana: "Per 4 anni mi avete tenuta in cella da innocente. Ho paura che mi arrestiate ancora"

Amanda condanna l'Italia: "Per voi resterò un mostro"

Parole in libertà. In tutti i sensi. «Rudy Guede ha violentato e ucciso la mia amica Metz»; «Ho paura che in Italia mi facciano ancora del male e mi rimettano in prigione»; «Giornalisti, giudici e opinione pubblica avevano deciso che io e Sollecito dovevamo essere colpevoli a tutti i costi»; «Vorrei incontrare il pm che mi accusava per dimostrargli che non sono un mostro»; «Non perdono lo Stato italiano»; «Quando ero in cella ho pensato al suicidio».

Sono solo alcune delle frasi del monologo interpretato da una Amanda Knox commossa e applauditissima. Senza la possibilità di farle domande, senza contraddittorio. Una mattinata paradossale. Tanto assurda da sembrare irreale, o meglio, da sembrare un reality. Un Truman show del diritto dal profumo «sanremese»: ma qui, a Modena, in via Aristotele, non va in scena il Festival della canzone, bensì il Festival della giustizia penale (la tre giorni convegnistica organizzata dalla Camera penale si intitola proprio così).

Troupe tv di mezzo mondo e taccuini ovunque, bloccati all'ingresso da «uomini della sicurezza» che dettano ai cronisti le «regole di ingaggio», neanche fossimo su un fronte di guerra; mentre invece siamo sul confine del ridicolo: per scavalcarlo del tutto ci vorrebbero Pamela Prati, Eliana Michelazzo, Pamela Perricciolo e il fantasma di Mark Caltagirone; ma in tal caso si scadrebbe nel Festival della fake news.

Intanto ecco materializzarsi la star del giorno: la ragazza di Seattle. Affascinante quanto la ragazza del Piper, complessa quanto la ragazza di Bube di cassolana memoria. I registi del «Festival» l'hanno incaricata di parlare del «processo mediatico» di cui è stata «vittima». Mentre lei ricostruisce la propria «odissea», i giornalisti sono tenuti a bada come cani; che poi è anche giusto, considerato che sembriamo tanti bassotti scodinzolati dietro la diva Amanda.

Lei parla e singhiozza con l'espressione atterrita di una 32enne Lucia Mondella a stelle e strisce al cospetto dell' italico Innominato. Lei è la buona, noi siamo i cattivi. Il copione è scritto da tempo. Provato e riprovato.

La «cittadina libera» a norma di legge e col sigillo di innocente apposto dalla Cassazione interpreta la parte della «perseguitata» dalla malagiustizia: e, tecnicamente, lo è davvero, considerato che si è fatta 4 anni di galera «per non aver commesso il fatto», come ha sancito la Suprema corte al termine di una serie di processi «viziati da macroscopici errori» (Cassazione dixit).

Prima condannata, poi assolta, poi condannata, infine definitivamente assolta: basterebbe questo drammatico balletto di sentenze per legittimare il diritto di Amanda a dire la sua. Eppure. Eppure c'è qualcosa (più di qualcosa) che stride maledettamente con le rivendicazione (sensate o no, valutate voi) di Amanda. E quel «più di qualcosa» è la presenza invisibile ma ingombrante di Meredith Kercher, la 21enne studentessa inglese, sgozzata nel 2007 nella sua casa di Perugia. Il delitto per il quale Amanda e il suo fidanzato di allora, Raffaele Sollecito, si sono ritrovati con la vita stravolta. Con un epilogo che risulterebbe comico se non fosse tragico: l'unico condannato per l'omicidio di Meredith e l'ivoriano Rudy Guede che si è beccato col rito abbreviato 16 anni per «concorso in omicidio». Col paradosso, però, che i complici del «concorso» sono rimasti ignoti. Eccola la giustizia negata. Negata soprattutto a Meredith e ai suoi cari che ora, con fin troppa eleganza, giudicano «inopportuna» la lezione impartita da Amanda dal pulpito del Festival della giustizia.

Anche tra alcuni avvocati presenti ieri in sala e membri della Camera penale ispiratrice del Festival serpeggiava un certo imbarazzo: «Dare il microfono ad Amanda è stata una scelta discutibile, così anche noi come categoria professionale rischiamo di perdere in credibilità». In credibilità di certo, ma sicuramente non in pubblicità.

«L'intervento di Amanda non era finalizzato a rifare il processo penale - hanno spiegato gli organizzatori - ma solo ad affrontare il tema del processo mediatico che ha visto Amanda per anni sotto i riflettori in balia del partito dei colpevolisti». È sufficiente per mettersi la coscienza in pace?

«Non l'amore, non i soldi, non la fede, non la fama, non la giustizia...datemi solo la verità», diceva Aristotele.

Chissà se anche Amanda è d'accordo.

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