Quirinale 2015

Amato, la carta segreta per chiudere al primo voto

Il "dottor Sottile" è l'unico che potrebbe mettere d'accordo subito democratici e Forza Italia

Amato, la carta segreta per chiudere al primo voto

Roma - Era stato là, acquattato nella noncuranza, ignorato per lo più dai bookmaker e dai borsini dei giornali. In quelli in cui compariva figurava in basso, ai confini dell'irrilevanza. E invece eccolo qui, Giuliano Amato. È lui l'uomo nuovo (si fa per dire) del romanzo Quirinale. Un testo lontano dalla parola fine e che al momento assomiglia a una mano di bluff. Epperò il nome del giudice della Corte Costituzionale, già due volte presidente del Consiglio e tre volte ministro, è di quelli destinati a restare a lungo tra le figurine dei favoriti.

Il fatto è che il grifagno Dottor Sottile è l'unico che secondo Renzi potrebbe fare il miracolo dell'elezione al primo turno. Il premier infatti sembra sempre più intenzionato a rinunciare alla raffica di schede bianche a cui sembravano destinate le prime tre elezioni a maggioranza qualificata. Il rischio, ben chiaro a Super Matteo, è quello che le varie opposizioni (quelle vere e quelle interne ai partiti del Nazareno) possano accordarsi per l'appoggio a una personalità popolare da votare in massa. A quel punto se il nome fosse tra i papabili del Pd questo ne perderebbe la paternità e se non fosse tra essi diventerebbe un disturbo che renderebbe poi l'elezione di chiunque altro come impopolare.

Il fatto è che per arrivare a quota 672 (tanti sono i voti necessari il 29 e il 30 gennaio) c'è bisogno di un voto compatto del Pd, di un appoggio di tutto il blocco centrista e degli ex M5S e del voto anche di Forza Italia. E Amato non ha alcun fan club ma è una figura equidistante rispetto alle due anime del Pd, al punto che Pier Luigi Bersani, capo della riserva indiana del Nazareno, spinge per la sua elezione; e al contempo - grazie al suo passato nel Psi e alla sua lontananza da qualsiasi ortodossia veterocomunista - è la prima scelta di Berlusconi. In più, godrebbe dell' endorsement del presidente «emerito» Giorgio Napolitano. E pazienza per il sarcasmo di Stefania Craxi («Amato ha condiviso nel bene e nel male con Craxi tutte le responsabilità del Psi. Craxi è morto in esilio, Amato presidente della Repubblica. È una bella notizia») e per la scarsa simpatia da parte degli italiani, che di lui ricordano il prelievo forzoso del 6 per mille su tutti i conti correnti stabilito nel 1992, quando era premier, e le polemiche sulle sue mille poltrone e sulle indennità.

Certo, troppo poco e troppo presto per abbandonare altre piste. Come quella di Ignazio Visco, governatore della Banca d'Italia e da molti indicato come l'arma segreta renziana da sganciare all'ultimo. Come Sergio Mattarella, da giorni nome caldo ma con l'handicap di non essere tra quelli che, come si dice in questi giorni, «se chiama la Casa Bianca non deve presentarsi». Come quelle di Walter Veltroni e di Piero Fassino, che però provengono dalla nomenklatura post-comunista, quel territorio su cui c'è una sorta di veto da parte del centro e di Forza Italia (Renato Brunetta: «Il nuovo presidente non deve essere ancora un comunista») ma anche di frange democratiche (Gianni Cuperlo: «Non deve essere della Ditta»). Rispetto a qualche giorno fa sembra aver perso peso la componente cattolica dei candidati. Dario Franceschini, Graziano Delrio, Linda Lanzillotta sono ombre lontane. E a proposito di ombre, il fantasma di cui proprio non ci si riesce a liberare è quello di Romano Prodi. Che continua a schermirsi (ma si sa: non vuol dir nulla) ed è al centro di strane strategie che investono anche il Movimento 5 Stelle.

Eppure il Professore ha troppi punti deboli per non essere il favorito tra i favoriti.

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