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Anas, morosità di Stato: per lavori mai pagati pignorati 200 milioni

Nella spa pubblica l'insoluto è diventato sistema Sia per grandi importi, sia per debiti di 300 euro

Anas, morosità di Stato: per lavori mai pagati pignorati 200 milioni

Fare dell'«insoluto» la propria filosofia di comportamento e applicarla sistematicamente. In altri termini: tentare di non pagare mai i propri debiti. Capita di incontrare o di avere a che fare con persone o società così, nella vita. Ma, certo, fa un po' più impressione quando a diffondere il verbo dell'«insoluto» è lo Stato stesso. O più precisamente una sua società controllata. Eppure capita proprio così, come in questa storia di ordinaria morosità.

Protagonista assoluta: Anas spa, gestore delle strade e autostrade pubbliche, controllato dallo Stato, su cui svolge attività di indirizzo, vigilanza e controllo il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, oggi guidato da Danilo Toninelli.

Tutto parte da un appalto vinto nel 2005 dal gruppo italiano leader delle costruzioni per lavori sulla strada statale 36 del Lago di Como e dello Spluga, per conto di Anas. In sede di consuntivo il gruppo presenta il conto. E dopo una serie di inutili tentativi di riscossione, nel 2015 inizia una causa civile per ottenere il dovuto. Dopo 4 anni, nel marzo scorso, il Tribunale emette la sentenza che intima ad Anas di pagare al gruppo di costruzioni la somma di 28,2 milioni. Ma la notifica della sentenza non basta. E la società procede ottenendo un atto di pignoramento presso terzi che, per legge, è maggiorato di un terzo a garanzia di spese accessorie. Così l'importo del pignoramento sale a 42,3 milioni. Ma ancora non serve perché l'importo pignorabile non si trova da nessuna parte: il legale del gruppo, lo studio Luponio & associati di Roma, invia a tutte le banche italiane il pignoramento.

Ma la risposta è sempre la stessa: anche dove Anas ha un conto corrente, le disponibilità risultano tutte già vincolate per precedenti pignoramenti. Ed ecco il bello (se così si può beffardamente dire) di questa storia: l'elenco degli atti di pignoramento da eseguirsi sui conti Anas presso le banche è sterminato. Siamo nell'ordine dei 200 milioni. E dentro si leggono importi di ogni tipo. Quindi non solo per grandi opere come quella della nostra storia; o come il caso dei 54 milioni vincolati a favore di una società romana; ma anche una lunga serie di pignoramenti nell'ordine di qualche milione o centinaia di migliaia di euro; fino a scoprire che nell'elenco compaiono anche insoluti da 1.257, da 438 e addirittura da 344,39 euro. Un segnale della sistematica volontà di non pagare né niente né nessuno. Si badi che ogni pignoramento presso terzi implica una serie di spese di almeno mille euro e una trafila che prevede il deposito in tribunale, la nomina del giudice dell'esecuzione, un'udienza e l'emissione dell'ordinanza. Sono altri 6-9 mesi

In pratica ci troviamo di fronte a una società dello Stato e (il governo Renzi ha spostato il 100% di Anas sotto le Fs, che a loro volta sono al 100% del Mef) e vigilata dal governo che: 1) non paga fornitori e creditori; 2) accolla ai contribuenti l'onere del recupero crediti; 3) contribuisce all'intasamento della giustizia civile, sempre a danno dei cittadini e dello Stato stesso; 4) indebolisce il suo stesso azionista e di nuovo i contribuenti sprecando soldi pubblici per interessi e mora; 5) causa ulteriori danni potenziali a quelle imprese per le quali attendere 5-7 anni per un credito importante può significare anche la chiusura.

La nostra storia ha poi un lieto fine perché Anas, da ex ente pubblico, è tra i pochi soggetti che ha un conto corrente anche presso la Banca d'Italia. E spesso, nel pignoramento presso terzi, pochi pensano a via Nazionale. Invece lo studio Luponio è andato anche lì. E ha avuto ragione: Bankitalia ha vincolato l'intero importo di 42,3 milioni in attesa del verdetto del giudice dell'esecuzione. L'udienza è stata fissata per il gennaio 2020: per Anas (e per tutti noi) saranno almeno altri 3-400mila interessi di mora in più da pagare. Mentre il conto finale - a carico di noi contribuenti - risulterà quasi raddoppiato rispetto all'appalto iniziale.

Il tutto senza che la società, il suo azionista pubblico e il ministero competente abbiano mosso un dito per oltre 14 anni.

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