Donald Trump

Anche il Papa è anti Donald: "Hitler è nato dal populismo"

Bergoglio: "Vedremo ciò che fa, ma attenti ai salvatori". La lunga schiera dei giornalisti italiani contro il tycoon

Anche il Papa è anti Donald: "Hitler è nato dal populismo"

Il club degli antitrumpisti d'Italia, quelli che non si rassegnano al fatto che il 45esimo presidente degli Stati Uniti sia un pericoloso bifolco come Donald Trump, miliardario con mogli e prole altrettanto sgradevoli ai palati più raffinati, può però contare su una consolazione di altissimo livello: persino il Papa condivide i loro timori. Bergoglio già nella campagna presidenziale Usa aveva molto criticato il tycoon per l'idea del muro col Messico («Non è Vangelo, non mi immischio ma dico solo che quest'uomo non è cristiano se dice queste cose» disse il Papa) e dopo la vittoria di novembre aveva confessato a Repubblica i suoi dubbi («Mi interessa solo se fa soffrire i poveri»).

Ad insediamento compiuto, il Papa invia il messaggio ufficiale al nuovo inquilino della Casa Bianca («le sue decisioni siano guidate da ricchezza di spirito ed etica dei valori») ma in un'intervista a El Pais si fa più esplicito il giudizio del Pontefice sul presidente Usa, il cui successo elettorale ricorda al Papa un precedente non proprio illustre. «Vedremo ciò che fa e allora valuteremo. Nei momenti di crisi si perde la lucidità di ragionamento. Cerchiamo un salvatore che ci ridia una identità e la difendiamo con ogni mezzo, muri o qualsiasi mezzo dagli altri popoli, per timore che inquinino la nostra identità e la danneggino. E questo è grave». Situazione che riporta Bergoglio alla Germania del '33. «Una Germania distrutta che vuole rialzarsi, che cerca una identità, un leader, qualcuno che le restituisca l'identità e si affida a un giovanotto che assicura poterlo fare, Hitler. E tutti lo votano. Di fatti fu una elezione democratica, non una imposizione. Il popolo lo votò e lui lo portò alla distruzione. Questo è il pericolo che si può correre ancora oggi».

Quale più autorevole conferma poteva trovare uno dei più attivi antitrumpisti italiani, l'editorialista del Corriere della sera Beppe Severgnini? L'altro giorno si domandava: «Donald Trump mette in pericolo la democrazia americana?». Per rispondersi poi che sì, «la maggioranza elettorale va rispettata, sempre e dovunque. Ma non ha sempre ragione». Prova ne siano «i governi democraticamente eletti che nella prima metà del XX secolo hanno condotto l'Europa nella braccia di Mussolini e Hitler». Paragone che, a questo punto, è autorizzato da bolla papale con ceralacca. Altro inconsolabile che può trovare sollievo nella compagnia del Pontefice è Gianni Riotta, esperto di Usa e altre cose. Nel ritratto-agiografia di Barack Obama («ha affrontato i disagi cercando il dialogo ma è stato tradito dalle sue stesse virtù» è l'aspetto più negativo trovato in otto anni alla Casa Bianca), l'ex direttore del Tg1 si rammarica che «purtroppo l'educazione socievole (di Obama, ndr) non funziona nel mondo dei Trump», per Riotta lo stesso mondo «dei Putin, degli Assad, degli Erdogan, gente che predilige le maniere forti». Ma non è niente rispetto al dramma personale che sta vivendo la corrispondente della Rai negli Usa (responsabile dell'ufficio di New York, poltrona d'oro nella tv di Stato), Giovanna Botteri, orfana inconsolabile della stagione Obama. Le sue ultime corrispondenze sono diventate cult tra i fan italiani di Donald Trump, per il pathos con cui racconta l'America trumpista.

Per la corrispondente Rai, un nuovo Medioevo per gli Stati Uniti.

Commenti