Cronache

"Ancora troppi medici non accettano la morte. Fare soffrire è indegno"

Il rappresentante della società degli internisti, Francesco Dentali: "L'accanimento terapeutico è contro i pazienti"

"Ancora troppi medici non accettano la morte. Fare soffrire è indegno"

«Non è giusto mantenere in vita un malato terminale a tutti i costi, è una questione di rispetto nei suoi confronti». Francesco Dentali, direttore del reparto di Medicina generale e Cure subacute di Luino (Varese) e direttore del dipartimento di ricerca della società scientifica Fadoi, sostiene che, prima ancora della legge sull'eutanasia, si debba affrontare il tema dell'accompagnamento dignitoso dei pazienti alla morte.

Perché, non è già così?

«Purtroppo non sempre. Capita spesso che il medico, pur sapendo che il paziente ha davanti solo qualche settimana di vita, insista con esami invasivi e inutili, con terapie che ne prolungano inutilmente la sofferenza».

Ci fa un esempio?

«Se un paziente di 85 anni con un tumore in stadio terminale non respira, non ha senso intubarlo. Così non si fa altro che prolungare la sua agonia di qualche giorno o settimana. Ha senso aiutarlo in altri modi, meno invasivi e inutili. Noi medici dobbiamo imparare a gestire il percorso del fine vita e insegnare ai parenti ad accettarlo. Con i colleghi del Fadoi stiamo organizzando vari incontri su questo tema. Che, mi rendo conto, è molto delicato».

Il fine vita dal punto di vista laico non è eutanasia?

«No. Ma è pietà umana. Noi medici sappiamo perfettamente quando un paziente presenta i parametri della morte. Da quei valori non si torna indietro. Eppure in corsia c'è ancora chi, anziché fare mezzo passo indietro, ne fa dieci in avanti, come se volesse curarlo o prolungare la sua vita a tutti i costi. Io non concordo con questo atteggiamento».

Stavolta arriveremo a una legge sull'eutanasia?

«Probabilmente sì. Non credo comunque che la legge sarà molto permissiva. Ma sarà utile per tenerci lontano dall'accanimento terapeutico».

Perché è così difficile far passare il concetto di accompagnamento alla morte?

«Perché la gente ha la testa infarcita di false illusioni. Ci sono state promesse cure contro il cancro senza specificare che servono solo contro un tipo particolare di cancro. Ci hanno detto che vivremo fino a 170 anni. Insomma, in tutti i modi veniamo allontanati dal concetto di morte. E i parenti sono disorientati e non riescono a capire. Per questo i medici le provano tutte, esami su esami, anche quando è inutile».

Lei è pro eutanasia? Entro quali confini?

«Non credo si possa essere estremisti sul pro o sul contro su un argomento così delicato. Però, in attesa di una legge che metta chiarezza, è bene non decidere solo sull'onda delle emozioni. Oltre a casi come dj Fabo, ci sono tanti pazienti con tumori incurabili, scompensi terminali e dolori su cui si cerca ancora di prolungare la vita.

Non va bene».

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