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Appendino, figuraccia in procura: si proclama sindaco "a sua insaputa"

Interrogata dai pm per la consulenza all'ex portavoce si dice all'oscuro

Appendino, figuraccia in procura: si proclama sindaco "a sua insaputa"

La consulenza a sua insaputa. Il genere, lanciato a suo tempo da Claudio Scajola con la casa di cui secondo la sentenza era all'oscuro, si arricchisce di un nuovo capitolo: a scriverlo è il sindaco di Torino Chiara Appendino inciampata nella terza tegola giudiziaria della sua carriera. Dopo i guai di piazza San Carlo e dopo i bilanci ballerini del Comune, ecco il lavoro commissionato dal Salone del Libro all'ex portavoce del primo cittadino, Luca Pasquaretta. Obiettivamente, non una gran cosa: un impegno relativo ma non trascurabile, 17 giorni, ricompensato con 5mila euro lordi ma finito nel mirino dei magistrati che l'hanno addebitato anche ad Appendino.

Lei non ci sta ad arroccarsi in una difesa tecnica ed esce allo scoperto. Va dai pm per un lungo interrogatorio, poi all'uscita chiarisce il suo punto di vista: «Ho potuto dimostrare agli inquirenti, richiamando il mio intervento in Consiglio del febbraio 2017 dove avevo chiaramente espresso la mia contrarietà a qualunque tipo di assegnazione di carattere consulenziale con attribuzione economica, di non essere stata a conoscenza del successivo sviluppo».

Sì, Appendino si chiama fuori. È indagata per concorso in peculato, ma fa scouting d'innocenza, o meglio pesca le sue vecchie parole per rivendicare la sua correttezza.

I tempi mitici della purezza fondativa sono ormai alle spalle, i 5 Stelle sono nella stanza dei bottoni, insomma si sono aperti al mondo con le sue tentazioni, talvolta irresistibili, e in particolare i sindaci delle metropoli sono i parafulmini di innumerevoli situazioni e collezionano di regola un guardaroba intero di avvisi di garanzia su qualunque argomento.

Ma Appendino, con i grillini in caduta libera anche in Piemonte e Torino alle prese con i fantasmi del declino, tira fuori le unghie e rilancia: lei era contraria. E la consulenza è arrivata a sua insaputa. Come la casa con vista sul Colosseo a Scajola.

«Ero convinta - spiega lei - che tutti avessero preso atto di tale mia ferma posizione e quando invece il 4 maggio 2018, e cioè ad un anno dalla fine dell'incarico, venni a saper da una testata giornalistica che la consulenza era stata assegnata, immediatamente reagii lamentando l'assegnazione dell'incarico contro la mia volontà e a mia insaputa».

Ecco, siamo alla proclamazione del dogma dell'innocenza, anche se in questo modo Appendino dimostra di non controllare nemmeno atti che la riguardano da vicino, cosi vicino che si ritrova accusata dai pm.

Tutto può essere: demagogia e arzigogolo. Un fatto è certo: nell'Italia in cui le leggi non si contano e si contraddicono, anche i 5 Stelle dovrebbero riflettere sulla giustizia. Non è alzando le pene che si risolvono i problemi e per un sindaco è facilissimo rimanere invischiati nella palude degli avvisi di garanzia. Un tema decisivo, a maggior ragione mentre la riforma complessiva di tutta la materia è tornata d'attualità «A tal fine - è la conclusione di Appendino - ho prodotto ai pm materiale attestante quanto da me riferito».

Chissà. Forse, Appendino se la caverà. Anche se su questa storia e sulla consulenza, che gli investigatori sospettano fittizia, è stata ondivaga e ha dato più di una versione. Ma resta il disagio di fondo: amministrare una metropoli è un'impresa temeraria, esposta a mille insidie e mille verifiche.

Cosi, magari a ragione, anche il sindaco 5 Stelle si iscrive al partito di quelli che hanno fatto qualcosa senza sapere di farlo.

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