Magistratura

"Archiviare per prescrizione non consente di lanciare accuse"

La Corte striglia le toghe: "Se i giudici esprimono apprezzamenti sulla colpevolezza dell'indagato, violano il suo diritto alla difesa"

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Un provvedimento di archiviazione non può diventare un'arma per infangare l'indagato. È la Corte costituzionale a censurare una «patologia», così definita dalla stessa Consulta, che è troppo spesso una abitudine dei magistrati. Ecco la pronuncia in sintesi: «Un provvedimento di archiviazione per prescrizione del reato che presenti la persona come colpevole lede i suoi diritti fondamentali».

La sentenza numero 41 del 24 gennaio, depositata ieri, affronta un caso che è stato sollevato dal Tribunale di Lecce. E che diventa l'occasione per sancire che se nel decreto di archiviazione il magistrato inserisce «apprezzamenti sulla colpevolezza della persona indagata - spiega la Corte - viola in maniera eclatante il suo diritto costituzionale di difesa e il suo diritto al contraddittorio, oltre che il principio della presunzione di non colpevolezza». A sollevare la questione di legittimità costituzionale era stato il Tribunale di Lecce. Qui una persona indagata era venuta casualmente a sapere di un provvedimento di archiviazione per prescrizione già pronunciato nei suoi confronti. Nel testo il giudice affermava però che le accuse sollevate contro l'indagato erano «suffragate da molteplici elementi di riscontro, puntualmente elencati». Il cittadino aveva quindi presentato un reclamo contro l'archiviazione e aveva chiesto di poter rinunciare alla prescrizione per potersi difendere in aula.

A questo punto il Tribunale ha chiesto alla Consulta di introdurre un obbligo generalizzato a carico del pm di avvisare sempre la persona sottoposta a indagine dell'eventuale richiesta di archiviazione per prescrizione e consentirle così di rinunciare alla prescrizione stessa. Questa questione è stata respinta, perché giudicata infondata. Tuttavia la Corte ricorda che già durante le indagini preliminari l'interessato ha a disposizione i normali strumenti di difesa della propria reputazione, come ad esempio la denuncia per calunnia o diffamazione di chi lo accusi ingiustamente. Scrivono poi i giudici presieduti da Augusto Barbera che «il caso specifico all'esame del Tribunale di Lecce è emblematico di una specifica patologia, rappresentata da un provvedimento di archiviazione per prescrizione che presenta la persona sottoposta alle indagini come colpevole, senza averle dato alcuna possibilità di difendersi dalle accuse». Che inoltre l'iscrizione nel registro degli indagati e il decreto di archiviazione dovrebbero essere provvedimenti «neutri». Altrimenti, se in qualche modo divulgati, «come spesso accade», possono determinare «gravi pregiudizi alla reputazione, nonché alla vita privata, familiare, sociale e professionale, delle persone interessate. Ciò che, in ipotesi, potrebbe dare altresì luogo a responsabilità civile e disciplinare dello stesso magistrato che ha richiesto o emesso il provvedimento».

Il cittadino infine deve essere sempre messo nella condizione di ricorrere contro provvedimenti che «indebitamente inseriscono in un'archiviazione il contenuto tipico di una sentenza di condanna».

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