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Le armi chimiche di Gheddafi finiscono in mano agli islamisti

Un video mostra un test nel deserto: sarebbero le milizie di Misurata che provano l'iprite del Colonnello

Le armi chimiche di Gheddafi finiscono in mano agli islamisti

Come se non bastassero i già numerosi allarmi legati alla minaccia jihadista, adesso spunta la minaccia delle armi chimiche in mano ai forsennati dell'islam integralista in Libia. E il fatto che sembri trattarsi non dei miliziani dell'autoproclamato Stato islamico ma di quelli - loro acerrimi rivali - delle brigate di Misurata non pare comunque molto rassicurante.

Il sito del giornale pan-arabo Asharq al-Awsat mostra un inquietante filmato che sarebbe stato girato in una regione montagnosa nell'entroterra di Tripoli: si possono vedere miliziani che sparano un proiettile dal quale si sprigionano prima delle fiamme, e poi un denso fumo biancastro che rapidamente si diffonde su una vasta area. Asharq scrive anche che altri test sarebbero stati condotti in aree desertiche nei pressi delle località di Hun e Mizda.

La sostanza testata sarebbe, secondo il quotidiano, l'iprite, conosciuta anche come gas-mostarda. Le milizie di Misurata, che fanno parte del fronte islamista «Alba della Libia» che controlla gran parte della Tripolitania, se le sarebbero procurata saccheggiando un deposito nella remota località desertica di Jufrah, a 600 chilometri a sud-est di Tripoli.

Si tratterebbe di un sito segreto, uno di quelli sfuggiti alla distruzione dell'arsenale chimico del defunto dittatore libico Muammar Gheddafi che era stata avviata con la sua stessa collaborazione nel 2004 - quando il Colonnello collaborava con gli occidentali nel timore di fare la fine del «collega» iracheno Saddam Hussein - e che sarebbe stata completata esattamente un anno fa. I componenti della commissione internazionale Opac che per conto dell'Onu si occupò dell'eliminazione dell'iprite e del nervino libici assicurarono che nulla ne era rimasto, ma le fonti di Asharq al-Awsat sostengono che una parte dei micidiali gas sia sfuggita alle operazioni, e che ora sia finita in mano alle bellicose milizie di Misurata.

Il filmato diffuso dal giornale arabo stampato a Londra sembra dimostrarlo, anche se va ricordato che nello scorso settembre la stessa Opac ha lanciato l'allerta su 850 tonnellate di precursori (che possono essere trasformati in armi chimiche) di cui 115 di isopropanolo, stoccati nel sito di Ruwagha, nel deserto del sud-est della Libia: il timore era appunto che finissero in mani sbagliate.

Le notizie sulle armi chimiche giungono mentre l'allarme per la degenerazione della situazione in Libia raggiunge livelli estremi. Ancora ieri il ministro degli Esteri del legittimo governo libico con sede a Tobruk ed El-Beida, Mohamed Dayri, ha chiesto all'Occidente «di non restare a guardare perché serve aiuto urgente». Lo dimostra l'attacco con missili sferrato da Isis proprio contro l'aeroporto di El-Beida.

E mentre il primo ministro francese Manuel Valls ricordava che la crisi in Libia rappresenta una «minaccia diretta alla nostra sicurezza», ieri a Sebha nel sud del Paese sono stati rapiti tre ingegneri egiziani: l'Egitto è in prima fila contro Isis in Libia e sta accelerando il rimpatrio dei suoi emigrati.

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