Politica

Arrestano 4 ladri ma la toga indaga i carabinieri

I militari finiscono alla sbarra per falsa testimonianza. I fermati sono rom pluripregiudicati

Giuseppe De Lorenzo

Vi siete mai chiesti se in Italia è sufficiente essere sorpresi a scavalcare una recinzione armati di passamontagna, cacciaviti e altri oggetti da scasso per essere condannati da un giudice? Risposta negativa: non basta. O almeno non è bastato a una banda di quattro rom torinesi, colti sul fatto da una pattuglia di carabinieri mentre cercavano di mettere a segno un furto e poi gentilmente rimessi in libertà da un solerte magistrato.

Il 2 marzo scorso una pattuglia di carabinieri si trovava nella zona residenziale di Grugliasco, periferia di Torino. Mese difficile: l'area da giorni veniva saccheggiata dai topi da appartamento e i residenti lamentavano insicurezza. I due carabinieri vedono quattro nomadi sospetti. I militari si appostano e pizzicano uno dei rom scavalcare la recinzione di un complesso residenziale e «armeggiare con un cacciavite» vicino al portone. Scatta il blitz: la pattuglia accende l'auto e i fari, il «palo» se ne accorge e avverte il collega introdottosi nella residenza. Questi torna indietro, salgono entrambi in auto e si mettono in fuga. I carabinieri piazzano li raggiungono e bloccano la banda. La storia potrebbe finire qui. Ma i rom si trovano tre ottimi avvocati e così parte un processo paradossale. Ieri infatti il giudice ha assolto i nomadi perché «il fatto non sussiste» e, secondo quanto riporta la Stampa, ha «disposto la trasmissione degli atti alla procura, perché proceda per falsa testimonianza nei confronti del maresciallo che aveva eseguito il fermo». Tradotto: ladri liberi e carabinieri indagati.

Ovviamente la banda di rom ha fornito un'altra versione dei fatti. A loro dire si trovavano nella zona residenziale (dove non vivono) perché avevano «sbagliato strada». Al resto hanno pensato i legali. I quali sono riusciti a convincere il giudice che dal punto in cui i militari avevano parcheggiato la gazzella sarebbe stato impossibile vedere cosa accadeva; che non erano stati rinvenuti segni di scasso sul portone (ma il reato contestato era solo «tentato furto»); che gli inquilini non avevano presentato denuncia (ma parte d'ufficio in questi casi) e che le versioni dei due carabinieri non collimano. Infine, si sono appigliati ad un errore commesso nel verbale, dove è scritto «messa la retromarcia cercano di investirci», invece di «messa la prima (...)». Lana caprina. I militari sono certi di avere fornito la stessa versione dei fatti. Ma il giudice non gli ha creduto, preferendo dar credito a persone che in Aula avrebbero dichiarato di non fare furti in appartamento, ma «solo nelle ditte». Ladri, ma credibili. E peraltro si tratta di una bugia: a loro carico infatti risulta un altro precedente di polizia per furto in appartamento.

Ma evidentemente la loro parola vale più di quella di un carabiniere.

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