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Asia Bibi in Canada dalle figlie. Altri 25 in carcere in Pakistan

In salvo dopo 3.240 giorni nel braccio della morte e mesi nascosta per le proteste dei partiti islamisti

Asia Bibi in Canada dalle figlie. Altri 25 in carcere in Pakistan

Asia Bibi, il simbolo della persecuzione dei cristiani, ha lasciato il Pakistan raggiungendo finalmente il Canada, dove avevano già trovato rifugio le sue due figlie. Se lei ce l'ha fatta, dopo 3.240 giorni di carcere nel braccio della morte, nessuno parla degli altri casi simili. Nelle galere pachistane sono ancora rinchiusi 25 cristiani accusati di blasfemia già condannati a morte, all'ergastolo o in attesa di giudizio.

Bibi «si è ricongiunta alla sua famiglia» ha fatto sapere l'avvocato, Saiful Malook. Pure lui fuggito all'estero per minacce degli estremisti dopo l'assoluzione della sua cliente del 31 ottobre. «È un grande giorno - ha dichiarato il legale - Asia Bibi ha lasciato il Pakistan ed è arrivata in Canada. Giustizia è fatta». La donna di 48 anni sarebbe giunta a Toronto la notte fra martedì e mercoledì e nelle prossime ore riabbraccerà le figlie Eisham ed Esha riparate in Canada a fine gennaio. Assieme al marito era stata costretta da mesi a vivere in una località segreta in Pakistan sotto protezione del governo dopo la rivolta dei partiti radicali come il Tehreek-e-Labbaik. Subito dopo la sentenza di assoluzione avevano paralizzato il Paese con proteste di piazza ottenendo un ulteriore ricorso. Alla fine la Corte suprema ha confermato l'assoluzione in gennaio, ma ci sono voluti mesi per fare arrivare la perseguitata in Canada. Una fonte del ministero degli Esteri di Islamabad ha confermato che Bibi è «una cittadina libera e può andare dove vuole. Ha abbandonato il Pakistan per volontà propria e con l'appoggio totale del governo».

La contadina pachistana era stata ingiustamente accusata di blasfemia dopo un alterco con delle donne musulmane. Un prete islamico locale aveva confermato le presunte offese a Maometto, ma anni dopo è stato sbugiardato dalla magistratura pachistana.

Dall'approvazione della controversa legge sulla blasfemia nel 1986, ai tempi del dittatore Zia ul Haq sono 224 i casi di cristiani accusati di avere insultato il profeta Maometto o profanato il Corano spesso con prove inconsistenti o pretestuose. Nessuno è finito sul patibolo, per ora, ma 69 persone, non solo cristiani, coinvolti nel tritacarne della blasfemia sono state vittime di uccisioni extragiudiziali e omicidi mirati compreso il ministro per le Minoranze, Shahbaz Bhatti, che voleva abrogarla.

Un altro caso Bibi è quello di Sawan Masih accusato da un amico di blasfemia e condannato a morte nel 2014, che attende ancora oggi il processo di appello. Un anno prima proprio le accuse nei suoi confronti avevano scatenato i pogrom anti cristiani nel quartiere Joseph Colony di Lahore.

La Fondazione pontificia, «Aiuto alla Chiesa che soffre», si è battuta fin dall'inizio per la liberazione di Asia Bibi.

«La sua vicenda dimostra che si può vincere grazie alla pressione internazionale - spiega il direttore Giovanni Monteduro - Per questo ricordiamo che in Pakistan ci sono ancora 25 casi Asia Bibi per i quali bisogna continuare a battersi».

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