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Assolti dopo sette anni di calvario i 13 manager Fs crocifissi dalla toga

Crolla al processo il teorema del pm di Napoli, che ipotizzava un sistema di appalti e favori. La sentenza: «Il fatto non sussiste»

Assolti dopo sette anni di calvario  i 13 manager Fs crocifissi dalla toga

Napoli - Tredici assolti su tredici imputati. Quattro dei quali sbattuti in galera e uno ai domiciliari sulla base di intercettazioni e ricostruzioni che la Procura di Napoli riteneva, come sempre, granitiche. Intercettazioni e ricostruzioni che si sono però sbriciolate durante il dibattimento, sette anni dopo il blitz condotto dalla guardia di finanza, grazie a un gran lavoro degli avvocati difensori.

Il gip Giordano aveva parlato, nell'ordinanza di custodia cautelare, di un sistema per «pilotare in modo sistematico e seriale» le gare e di scambi di favori e finanziamenti occulti per mettere le mani su commesse relative alla manutenzione, alla rottamazione e, in generale, a tutti i lavori riguardanti carri e locomotive di Trenitalia spa. In manette, accusati tra l'altro di associazione per delinquere finalizzata alla turbata libertà degli incanti e corruzione, erano finiti Raffaele Arena, ex dirigente responsabile del servizio manutentivo di Trenitalia; e Fiorenzo Carassai, ex responsabile di una sezione di manutenzione della stessa società del Gruppo Fs; gli imprenditori Giovanni e Antonio De Luca, titolari dell'impresa «Fd Costruzioni srl», al centro dell'inchiesta, e Carmine D'Elia (quest'ultimo agli arresti casalinghi). Altre otto persone erano state indagate a piede libero.

I pubblici ministeri titolari del fascicolo, Henry John Woodcock e Francesco Curcio (oggi alla Procura Nazionale Antimafia), avevano calcolato che gli appalti «illecitamente affidati» dai due funzionari agli imprenditori «ammontavano ad oltre 10 milioni» e, in alcuni casi, erano stati affidati con trattative private dirette. L'altro ieri, però, il giudice Serena Corleto della I sezione del Tribunale di Napoli, ha smontato l'ipotesi dell'accusa e ha letteralmente polverizzato l'intero teorema dell'ufficio inquirente del capoluogo: tutti assolti perché «il fatto non sussiste».

Per conoscere le motivazioni serviranno novanta giorni, ma è chiaro che la scelta della formula di non colpevolezza demolisce alle fondamenta un'attività investigativa che era nata da un audit interno a Trenitalia del 2009 e che si era sviluppata quasi esclusivamente con monitoraggio elettronici delle utenze. Woodcock e Curcio (che si occuparono, in quei mesi, anche del filone sulla «P4» di Luigi Bisignani e Alfonso Papa) avevano posto l'accento sull'esistenza di un «cartello di imprese amiche» che pressava su un «mercato manipolato ed egemonizzato». Nelle intercettazioni era spuntato pure il nome del cardinale di Napoli Crescenzio Sepe. La mamma di uno degli indagati ne aveva parlato, al telefono col figlio, a proposito di un possibile interessamento dell'arcivescovo per agganciare i vertici di Trenitalia e il capo della Protezione civile Guido Bertolaso. «Cose assolutamente insussistenti» si era affrettato a chiarire l'allora procuratore di Napoli Giovandomenico Lepore smentendo eventuali legami tra il prelato e i soggetti dell'indagine. Alcuni atti del procedimento erano stati poi trasferiti alla Procura di Lucca per possibili legami tra le carenze nella manutenzione delle carrozze e la strage di Viareggio del 2009 nella quale avevano perso la vita 32 persone.

Anche questo filone si era però rivelato del tutto privo di riscontri.

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