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Un attacco ad al Sisi e all'islam moderato

Un attacco ad al Sisi e all'islam moderato

L'attacco di ieri dell'Isis è un attacco all'Egitto, una scelta strategica e programmatica tesa a minare alle fondamenta il potere del presidente al Sisi, un'affermazione tracotante e decisa: «Credevate di averci sconfitti, sarete voi a morire». Una ambiziosa scelta di sovversione rispetto alle nuove alleanze antiterroriste che comprendono Egitto, stati arabi moderati e tutto l'Occidente compreso Israele. Allineati e coperti alla bell'e meglio, morti a centinaia mentre recitavano la preghiera del venerdì alla moschea di Bir al Abd a Razwa, poco lontano da Al Arish, a metà strada simbolicamente fra il Cairo e Gerusalemme, ieri sono state massacrati in numero abnorme, 235 più 190 feriti, i poveri sufi egiziani. Abituati con i copti a soffrire della loro debolezza numerica e della loro mitezza religiosa, oggi sono le vittime della guerra vigliacca che l'Isis dopo la sconfitta territoriale si ingegna a proseguire. L'Isis ha senz'altro perso il suo territorio, quella porzione di Siria e Iraq che gli aveva fornito una popolazione di otto milioni di persone, banche, armi, pozzi di petrolio, business criminali di vario genere, un'industria di comunicazione da fare paura, con blogger, twitter, film didattici. Ma non è morta e sta elaborando una strategia che gli consenta di terrorizzare il mondo intero sovvertendolo col suo esercito segreto diffuso.

Il Sinai è tuttora una zona di grandi risorse terroristiche, il suo territorio è sotterraneamente parte del dominio dell'Isis dal 2014 quando la sua sezione Ansar bait al Maqdis dichiarò fedeltà a Abu Bakr al Baghdad. Prima, da quando il presidente eletto, capo della Fratellanza Musulmana, fu deposto nel 2013 da Abdel Fattah al Sisi, la forza eversiva sempre strisciante nel Sinai, con le sue staffette cammellate, i suoi armati provenienti anche da Gaza, ha cominciato un attacco contro al Sisi stesso, che ha tutte le caratteristiche di una guerra. È da allora che quella magnifica penisola di sabbia e palme ornata dal mare azzurro è inzuppata del sangue dei moltissimi agguati alle forze di sicurezza egiziane, ma anche ai civili e ai turisti, ritenuti portatori del virus edonista dell'Occidente corrotto. Nell'ottobre del 2015 un aereo dell'aviazione russa che doveva riportare a casa 224 persone esplose nell'aria col suo prezioso carico.

Dal luglio del 2013 ad oggi si calcola che siano stati uccisi ben 1000 membri delle forze di sicurezza egiziane, le ultime 16 in ottobre. I copti e tutti i cristiani nelle chiese sono uno dei bocconi favoriti quando si parla di civili. Ma anche i musulmani se non sono del tipo che piace all'Isis vengono ammazzati senza pietà.

Ieri da parte di Israele sono venute parole di particolare solidarietà all'Egitto. Giusto quarant'anni fa il suo presidente Anwar Sadat tenne il suo famoso discorso alla Knesset in cui si disegnò la pace. Sadat ha pagato con la sua vita la grandissima impresa a causa di gruppi islamici estremisti la cui fede collegata alla Fratellanza Musulmana li spinge a sognare per l'Egitto un ruolo estremista e di Islam incontaminato, a capo della guerra sunnita contro l'Occidente. Sisi sembra avere intenzioni completamente diverse, è parte di uno schieramento che con l'Arabia Saudita fa parte di un antiterrorismo con un rapporto indispensabile con l'Occidente, gli Usa e in particolare con Israele.

Per l'Isis dunque la presenza eversiva, grandiosa nei suoi risultati letali, la sfida diretta a Sisi e chiaramente diretta a minarne la forza internazionale e locale, è il tentativo di portare all'eversione un popolo spaventato.

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