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Attesi 20 miliardi dalle dismissioni. Monte Paschi è il primo della lista

La Nota di aggiornamento punta a ricavi per l'1% del Pil al 2026. Dagli immobili 2,6 miliardi. La centralità di Eni, Enel, Stm e Leonardo

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«Nel 2024 e nel 2025, il rapporto debito/Pil calerà lievemente, fino al 139,9 per cento, anche grazie a un parziale utilizzo delle disponibilità liquide del Tesoro e all'avvio di un piano di dismissioni di partecipazioni dello Stato». La Nadef del ministro Giorgetti manifesta l'intenzione di dar corpo a un nuovo scenario che «prevede proventi da dismissioni pari ad almeno l'1 per cento del Pil nell'arco del triennio 2024-2026». Come spiegato dal ministro si tratterà di «partecipazioni societarie pubbliche, rispetto alle quali esistono impegni nei confronti della Commissione Ue legati alla disciplina degli aiuti di Stato, oppure la cui quota di possesso del settore pubblico eccede quella necessaria a mantenere un'opportuna coerenza e unitarietà di indirizzo strategico». Non è una novità assoluta poiché anche i governi precedenti avevano indicato quel numero come un obiettivo di medio termine per le cessioni di asset pubblici. Nella Nadef, però, si comprende l'effettiva necessità di raggiungere quell'obiettivo a causa delle maggiori spese connesse al Superbonus.

Innanzitutto, è necessario guardare agli attivi più «aggredibili» come quelli immobiliari. Ebbene, le entrate una tantum da smobilizzo nel triennio 2024-2026 sono quantificate in 2,6 miliardi complessivamente. Dunque, il primo indiziato è il 64,2% del Monte Paschi che vale all'incirca 2 miliardi di euro ma che non si può collocare tutto insieme pena un calo del titolo in Borsa come quello che si è registrato la scorsa settimana quando si era diffusa l'indiscrezione di un collocamento. L'ideale sarebbe una fusione all'interno della quale restare soci di minoranza e introitare dividendi (recuperando parzialmente i 7 miliardi investiti a Siena) ma al momento le grandi banche italiane non paiono interessate. Ovviamente, tutto dipende dalla Commissione Ue che ha imposto allo Stato di programmare l'exit strategy entro il primo semestre 2024. Resterebbe poi il 29,3% di Poste (valore 4 miliardi), visto che Cdp ne detiene il 35%.

C'è anche il 23,6% di Enel che vale 14,7 miliardi ma che riveste anche un'importanza strategica per il sistema Paese. Idem per il 13,75% indirettamente detenuto in StM (5,4 miliardi) e per il 30,2% di Leonardo (2,4 miliardi). Il 4,6% in Eni vale poco più di 2 miliardi e contribuisce a creare una minoranza di blocco con Cdp (27,7%), Non avrebbe molto senso «intervenire» su Terna, Snam e Italgas che fanno capo a Cdp. Essendo fuori dal perimetro pubblico, non vi sarebbero benefici per il debito.

Si potrebbe puntare sul gruppo Ferrovie dello Stato ma sarebbe un unicum in Europa visto che la Germania da tempo ha rinunciato al collocamento di Deutsche Bahn e la Francia non vi ha mai pensato. Eppure, nella Nadef si è certi che gli introiti aumenteranno.

Perché «grazie anche ad altre entrate straordinarie previste per il 2024» il rapporto debito/Pil seguirà «un profilo di lieve discesa».

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