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Atto disperato dei commissari: esposto alle toghe anti Ilva

«Danni all'economia nazionale»: chiesto l'intervento dei pm. Operai pronti a «boicottare» lo spegnimento

Atto disperato dei commissari: esposto alle toghe anti Ilva

C'era una volta l'ingerenza della magistratura nella politica. Ora è direttamente la politica che telefona alla magistratura chiedendo se può risolvergli i problemi. Nel caso Ilva però, la politica sbaglia pure numero. I commissari straordinari dell'ex Ilva hanno presentato un esposto contro Arcelor Mittal alla procura di Taranto. Nel documento, consegnato nelle mani del procuratore capo Carlo Maria Capristo e dell'aggiunto Maurizio Carbone, si denunciano «fatti e comportamenti inerenti al rapporto contrattuale, lesivi dell'economia nazionale» e si chiede «di verificare la sussistenza di ipotesi di rilevanza penale». Frasi che riecheggiano quelle usate due giorni fa dalla Procura di Milano per annunciare la propria «discesa in campo» nell'affaire ex Ilva. Indagini «a strascico», in cui le notizie di reato non sono definite ma «eventuali». E se dopo l'annuncio della Procura di Milano lo stesso premier Giuseppe Conte ha ringraziato i pm, ieri è stato il ministro per lo Sviluppo Stefano Patuanelli (lo stesso che al momento non riesce a indicare una via di mediazione con ArcelorMittal) a ringraziare i commissari per la svolta giudiziaria.

A quanto pare, nessuno rileva le contraddizioni insite in queste mosse che al momento appaiono disperate, a fronte di una sostanziale impotenza del governo. I commissari straordinari dell'Ilva Francesco Ardito, Alessandro Danovi e Antonio Lupo, nominati dal predecessore di Patuanelli, cioè Luigi Di Maio, nell'intento di evitare lo spegnimento degli altiforni si sono rivolti alla Procura che da anni preme per spegnerli.

In un lungo articolo sul Foglio, il segretario della Fim Cisl Marco Bentivogli ha ricostruito l'intera vicenda che parte proprio con l'intervento della procura di Taranto che portò alla luce i gravi effetti dell'inquinamento ma, il 26 luglio del 2012, incomprensibilmente (dal punto di vista del bene di un'azienda strategica) impose il sequestro dello stabilimento senza facoltà d'uso. «Se ci sono elementi di rischio imminente -ha scritto Bentivogli- è giusto sequestrare fabbriche e fare arresti, non so se sia utile sequestrare e far deperire nel piazzale 1 milione 700.000 euro di prodotti finiti e pronti da spedire, ma di sicuro non lo è avviare il dibattimento cinque anni dopo». Il capo della Procura all'epoca era Franco Sebastio che divenne una star degli ambientalisti e si candidò, con scarso successo e dubbia opportunità, a sindaco di Taranto e ne fu assessore alla legalità con la giunta Melucci (Pd).

Tra l'altro, la procura di Taranto è anche intervenuta per chiedere interventi di messa in sicurezza dell'altoforno 2 pena lo spegnimento, evitato in prima battuta proprio grazie a un ricorso dei commissari straordinari. Tra i problemi denunciati da Mittal c'è anche la nuova scadenza imposta dalla magistratura tarantina, il 13 dicembre. Il paradosso è che il governo ora spera nelle toghe di Milano per evitare lo spegnimento degli altiforni, uno dei quali potrebbe chiudere il 13 dicembre per ordine delle toghe di Taranto. E non è tutto. Perché uno dei nodi che spacca il governo e lo priva di una linea in questa vicenda, è lo scudo penale. Contro il quale i magistrati di Taranto hanno fatto ricorso due volte (invano) alla Consulta.

Un pasticcio giudiziario al posto di una politica industriale. Luigi Di Maio plaude: «L'azienda deve sentire la pressione del sistema Italia». Ma non convince Confindustria: «La dimensione muscolare non serve a nessuno - dice il presidente Vincenzo Boccia - occorrono soluzioni». E neanche i sindacati che prospettano uno sciopero al contrario: gli operai potrebbero «rifiutarsi di non lavorare», cioè boicottare lo spegnimento degli altiforni.

Ma oltre al danno c'è già la beffa: ArcelorMittal disinveste dall'Italia e intanto acquista per 5,8 miliardi il gruppo indiano fallito Essar Steel.

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