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Aumenti e smentite sull'Iva: si rischia una tassa sulla cena

Il M5s vorrebbe «rimodulare» l'imposta su ristoranti e hotel: Gualtieri non si sbilancia. Rispunta la sugar tax

Aumenti e smentite sull'Iva: si rischia una tassa sulla cena

L'ultima idea del governo per portare un po' di risorse in dote a una legge di Bilancio che è oggettivamente a corto di coperture è una stangata su ristoranti e alberghi di lusso, sotto forma di un rialzo parziale dell'Iva oppure di un passaggio dei due settori dall'aliquota agevolata al 10% a quella al 22%.

Idea circolata nei giorni scorsi, si è rafforzata all'inizio della settimana e ieri è stata smentita, ma solo da mezzo governo. E non dal diretto interessato, il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri.

Il fatto è che il ministro ha dato per acquisita la sterilizzazione degli aumenti Iva. Costo 23,1 miliardi. Ma non ha escluso una rimodulazione dell'imposta su beni e servizi.

La rimodulazione è appunto un aggiustamento alle aliquote e il passaggio di alcune merci da un'aliquota a un altra. Materia difficile da gestire, tanto che ogni volta che spunta un'ipotesi viene impallinata. Ieri è stata la volta di ristorazione e ospitalità.

L'Iva su alberghi e sui ristoranti è al 10%. Al conto della trattoria o di una pensione si applica un prelievo un po' più alto rispetto a quello al 4%, riservato agli alimenti di base come pane e latte.

Scelta risalente agli inizi degli anni Settanta, quando abitudini e redditi erano molto diversi. L'idea è di spostare una parte di queste attività economiche, quelle di lusso, dalla seconda aliquota a quella ordinaria, al 22%. Facile immaginare il retropensiero: ristoranti e viaggi sono consumi voluttuari. Altrettanto facile azzeccare il calcolo fatto dal governo. La ristorazione da sola vale 41 miliardi, l'ospitalità alberghiera 110 miliardi.

Anche ipotizzando una stangata a metà, ad esempio limitando l'aliquota massima agli hotel a 5 stelle, il governo riuscirebbe a coprire i buchi della manovra con un solo colpo.

Peccato che il turismo sia una delle poche eccellenze ancora gestite in patria. E che la risposta delle categorie interessate sia stata un fuoco di fila contro gli aumenti.

«Se l'Iva fosse rimodulata e salisse al 22% per gli alberghi di alta fascia, declasseremo tutti gli hotel a 5 stelle per risparmiare quel famoso 10% di cui si parla». Torneremmo «alla situazione di anni fa: in Italia c'erano meno di 80 hotel di lusso perché avevano l'Iva altissima. Oggi sono più di 500 ma siamo pronti a scendere di nuovo a meno di 80».

Prima il sottosegretario Stefania Bonaccorsi poi direttamente il ministro per i Beni culturali Dario Franceschini hanno smentito: «L'aumento dell'Iva dal 10 al 22% per hotel e ristoranti non esiste e non esisterà». L'idea è spuntata in ambienti M5s in vena di giustizia sociale, spiegavano fonti del governo.

Il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri, impegnato all'Eurogruppo, non è entrato nel merito e si è limitato a ribadire che saranno sterilizzati gli aumenti Iva da 23,1 miliardi di euro. «Disattiveremo integralmente le clausole di salvaguardia».

Difficile in questa fase dare credito alle smentite, tanto quanto agli annunci, visto che proprio ieri è rispuntata la sugar tax, la tassa sulle bevande zuccherate: «È molto importante perché è una tassa sullo zucchero aggiunto negli alimenti e in Italia abbiamo un grande problema obesità. Si deciderà in questi giorni se metterla ora in Manovra o lasciarla alla discussione del Parlamento», ha annunciato ieri il viceministro all'Ecoomia Laura Castelli.

Un altro balzello che farà lievitare il conto del bar e del ristorante, per fare quadrare i conti della legge di Bilancio.

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